Via di qua

Questa cosa qui, se la leggi una volta, pare uno sfogo personale. Se la leggi cinquanta volte, nelle mail di quelli che hanno firmato la cosa sul Partito Democratico, diventa una questione su cui è difficile alzare le spalle:

“Non saprei dirvi quando si sia verificato. Forse qualche mese fa o forse da più tempo. Non saprei dirvi quando ho perso la speranza che l’Italia possa diventare migliore di quello che e’ e che fosse nel mio futuro viverci.

Non sono una persona che getta la spugna facilmente, chi mi conosce lo sa, ma ora, lo sento, ho perso la speranza.

Non e’ stato particolarmente traumatico, non e’ stato come scoprire di aver fatto un madornale errore o di essere stati incredibilmente stupidi. E’ stato, piuttosto, come l’accettare qualcosa di ineludibile, un po’ come si accetta l’inevitabilità della morte e si viene a patti con essa.

Quando ero all’università, ripetevo con alcuni cari amici il mantra ‘Il mondo e’ cambiato, nonostante lo scetticismo degli intellettuali e la paura dei deboli’. Il mondo, l’Italia meno.

Ho perso la speranza e mi e’ rimasta soltanto rabbia.

Una rabbia antica, amara, meridionale, che arde impetuosa e mi impedisce di essere indifferente.

Qualcuno mi disse ‘Tu hai due condanne: sei italiano e sei meridionale. Prima devi fuggire dal meridione e poi devi fuggire dall’Italia’. Aveva ragione.

Qualcuno altro ha definito l’espressione ‘un paese normale’ come un luogo comune della politica. Può darsi che lo sia. Ma per me ha un significato profondo, non e’ una espressione vuota.

In questi giorni di chiusura del PhD, sto valutando alcune offerte di lavoro. Lo stesso fanno alcuni amici e colleghi. Con una differenza. Per loro la prima scelta e’ il loro paese di provenienza, mentre per me non e’ nemmeno una opzione.

Mi viene offerto la sfida intellettuale ed il tenore di vita che in Italia potrei avere tra dieci anni con gli agganci giusti.

L’aspetto ironico della tragedia e’ che probabilmente non tornerei in Italia, almeno per un po’, anche se fosse possibile. Il mondo e’ grande e vorrei fare qualche altra esperienza.

Ma il fatto di non avere nemmeno una maledetta opzione da scegliere, mi fa imbestialire e va ad alimentare la mia rabbia.

Quella rabbia che mi provoca una allergia mortale alla retorica della politica, alle promesse ed agli errori fatti sulle vite degli altri. Quante vite ha rovinato la demagogia?

Non esistono parole per poter descrivere il dover spiegare ai tuoi amici, ai tuoi genitori, a te stesso che non c’e’ alcuno modo. Guardare i loro sguardi tristi, il loro dignitoso modo di non farti pesare quella scelta che sanno essere inevitabile.

C’e’ di peggio, lo so. Ma questa e’ la mia tragedia personale.

Andare via, sempre più lontano.

Se potessi, farei domanda per lavorare su Marte o mi farei rapire da una astronave aliena.

Per andare sempre più lontano per dimenticare.

Per dimenticare da dove vengo e chi sono”

Giuseppe Veltri

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