Walter Veltroni ha scritto una lunga lettera a Giuliano Ferrara. Giuliano Ferrara ha scritto una risposta a Walter Veltroni. Il passaggio più convincente del carteggio mi pare questo, e purtroppo non l’ha scritto Veltroni.
I conti elettorali del centrosinistra si possono leggere in un solo modo, se non si abbia voglia di scherzare o di truffare il prossimo. L’Unione e il governo Prodi, insieme con l’estrema sinistra radicale e un coacervo di idee e di abitudini e di pregiudizi antropologici e morali dell’antiberlusconismo militante, sono il mondo che è uscito letteralmente distrutto dal voto. Invece il progetto veltroniano di Partito democratico, sia per la percentuale raccolta sia per il Parlamento uscito dalle urne, in cui ad esso è consegnato sostanzialmente il monopolio dell’opposizione, ha tenuto e ha creato le condizioni politiche di un rilancio e di una strategia di alternativa di lungo periodo, fondata sul governo ombra e un rapporto normalmente conflittuale e competitivo ma non di reciproca delegittimazione e paralisi con la maggioranza.
Quel progetto, nominalmente, era appoggiato, insieme con la leadership di Veltroni, da una vasta maggioranza interna ai due partiti postdemocristiano e postcomunista che hanno dato vita all’idea. Nominalmente. In realtà era legato a un salto di generazione e di cultura, come aveva scritto in modo preveggente il professor Salvati in queste colonne, la prima volta che fu sistematizzata la stessa idea di un Partito democratico. Ma il salto non c’è stato, tutto procede nella continuità e nella melassa burocratica, l’identità del partito sfiorisce, la sua silhouette si accuccia all’ombra di una ordinaria operazione di unificazione delle due formazioni originarie. La politica del Pd si presenta già come una qualunque ricerca di ordinarie alleanze nel panorama politico così com’è, dal pigro e irrilevante Casini agli extraparlamentari di sinistra fino al populismo giustizialista di un Di Pietro. Niente di male, tutto legittimo.
Ma questo che c’entra con quella grande idea di partito nuovo che avrebbe dovuto favorire e col tempo guidare un mutamento grandioso nella forma dello stato e nell’assetto stesso della società politica italiana? Che c’entra con il Pd come agente di grandi riforme istituzionali e costituzionali, come contraente di un patto per una nuova Repubblica fuori dalla vischiosa transizione di questi “quindici anni” che Veltroni non smette mai di mettere sotto accusa come un passato di cui liberarsi? Le pratiche politiche nel Pd dopo le elezioni fanno invece prevedere nuove Unioni e nuovi centrosinistra da comporre con il tradizionale metodo del rassemblement antiberlusconiano ingovernabile e di poca coesione per un serio governo del paese.