Superstar

L’hip-hop, non è che tutti lo abbiano capito ancora. Per molti è semplicemente un sinonimo del genere musicale che prima chiamavano rap: anche se si tratta di un mondo assai più esteso. Ci sono ritmi e atteggiamenti ed estetiche e persino filosofie. Devi essere nero e americano per starci dentro.
Oppure – come avvenne dieci anni fa questa settimana – deve arrivare un Messia. Il Messia quella volta fu una donna, e due anni prima aveva partecipato a uno dei più grandi successi della discografia nera di tutti i tempi: il disco “The score” dei Fugees. I Fugees erano in tre, e lei era “la cantante dei Fugees”. Ma dieci anni fa questa settimana lei diventò per il mondo Lauryn Hill, pubblicando “The miseducation of Lauryn Hill”, un disco che a oggi ha venduto otto milioni di copie e che stabilì che l’hip-hop non era solo violenza del ghetto ed esibizionismo verbale: poteva raccontare anche storie personali, relazioni “normali”. Canzoni per tutti.
I suoi soci dei Fugees non volevano facesse un disco suo, e allora Lauryn Hill si fece aiutare da suo marito Rohan Marley (uno dei figli di Bob), da un allora sconosciuto John Legend, da Mary J. Blige e Carlos Santana.
Il disco andò fortissimo da subito, poi vennero sei singoli da classifica e cinque premi Grammy. Dopo, ci furono liti tra i musicisti e lei si trovò presto a disagio con il suo successo: sparì dalla scena (salvo un bel disco dal vivo acustico qualche anno dopo) e tornò in pubblico poche volte, tra cui una in Vaticano in cui attaccò la Chiesa per le vicende sulla pedofilia.
Si dice da tanto che stia per tornare con un nuovo disco. Nell’attesa, sapete cosa ascoltare.

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Un commento su “Superstar

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