Dategli tempo

stevenberlinjohnson

Ho letto il pezzo di Steven Berlin Johnson che per ragioni di sincronia e argomenti è stato in questi giorni associato a quello di Clay Shirky, e mi ha dato altrettanta soddisfazione.
Johnson è uno scrittore e saggista, che qui è stato conosciuto soprattutto per un suo libro tradotto da Mondadori, in cui argomentava contro il cliché che vuole la tv e i videogames portatori di cultura più semplificata e meno stimolante. Venerdì ha messo sul suo blog una riflessione sui giornali e sul giornalismo online.
Certo, uno che attacca con l’esempio di quando nel 1987 aspettava l’uscita di MacWorld di fronte alla libreria locale per avere qualche notizia delle cose Apple, sa come fregare molti di noi che facevano lo stesso qui e dovevano aspettare molto di più. Johnson ne parla perché a nessuno sfugga la sensazionale rivoluzione avvenuta nell’informazione tecnologica in questi vent’anni. Se allora l’unico modo di sapere qualcosa di Apple era aspettare l’uscita di un mensile di carta e ottenerne peraltro notizie già vecchie (Keynote in diretta? Download di applicazioni? Rumors sulle nuove uscite? Macchè), adesso abbiamo ogni secondo una mole di informazioni che ha superato di gran lunga quelle che possiamo trovare presso i media tradizionali.
E qui Johnson illustra già dove vuole andare a parare, e in modo molto convincente: chi sostiene che la copertura delle notizie può essere affidata solo ai grandi colossi dell’editoria tradizionale dovrebbe pensare a cosa è successo nel campo del giornalismo dedicato alla tecnologia.

Ok, la tecnologia è un caso a parte: è un tema a cui la rete è dedicata per definizione. Allora Johnson propone di prendere in esame la politica: e ha gioco a facile a dimostrare che ormai anche l’informazione politica in rete è quasi autosufficiente e anzi spesso è lei stessa a imbeccare i media tradizionali, piuttosto che viceversa.
Insomma, dice Johnson: probabilmente è solo questione di tempo. I settori in cui la rete ha cominciato prima a costruire giornalismo vero stanno dimostrando che è possibile: diamo ancora qualche anno allo sport, al business, eccetera, e anche questi dimostreranno di poter costruire informazione online autonomamente, senza parassitare il giornalismo della carta e della tv.

That’s why the ecosystem of technology news is so crucial. It is the old-growth forest of the web. It is the sub-genre of news that has had the longest time to evolve. The Web doesn’t have some kind intrinsic aptitude for covering technology better than other fields. It just has an intrinsic tendency to cover technology first, because the first people that used the web were far more interested in technology than they were in, say, school board meetings or the NFL. But that has changed, and is continuing to change. 

E poi, dice Johnson: siamo sicuri che i giornali come li abbiamo conosciuti fino a oggi ci dessero questa completezza d’informazione? Non è che ci siamo semplicemente abituati, ma ogni successivo esempio di arricchimento ci mostra all’improvviso quanto ridotte fossero le loro possibilità? Prendete la stampa locale, dice, e ancora una volta mentre leggo mi si accende la lampadina che dice “perbacco, è vero!”. Prendete la stampa locale: quante cose trovate nella sezione cittadina del vostro giornale che davvero vi interessano?
Allora, io confesso di non leggere praticamente niente della sezione cittadina dei quotidiani che compro. Di solito guardo la pagina di apertura, niente mi colpisce, e lascio perdere. Se la sfoglio con un po’ più di attenzione, finisco per soffermarmi forse su un articolo, se va bene due.
Perché, come spiega Johnson, la scala è sbagliata. Soprattutto per le città grandi, quel che ci interessa è sapere cosa avviene intorno a noi, cosa ci riguarda direttamente. Fuori dal raggio del nostro quartiere e dei nostri movimenti e delle nostre vite, Lambrate vale Johannesburg. Anzi, mi incuriosisce più Johannesburg. E questo è quello che sta facendo internet – per ora solo in America – in modi impensabili per i giornali: fioriscono blog e siti che vi dicono tutto quel che accade nel vostro quartiere.

As we get better at organizing all that content – both by selecting the best of it, and by sorting it geographically – our standards about what constitutes good local coverage are going to improve. We’re going to go through the same evolution that I did from reading two-month-old news in MacWorld, to expecting an instantaneous liveblog of a keynote announcement. Five years from now, if someone gets mugged within a half mile of my house, and I don’t get an email alert about it within three hours, it will be a sign that something is broken.

Ok, ok, si ferma Johnson: lo so cosa pensate. Che posso fare tutti gli esempi che voglio, ed essere convincente sul fatto che il giornalismo online sarà in grado di cavarsela e bene, ma ci sono due campi che non possono essere trattati come gli altri. Il giornalismo investigativo e quello internazionale.

There is going to be more content, not less; more information, more analysis, more precision, a wider range of niches covered. You can see the process happening already in most of the major sections of the paper: tech, politics, finance, sports. Now I suppose it’s possible that somehow investigative  or international reporting won’t thrive on its own in this new ecosystem, that we’ll look back in ten years and realize that most everything improved except for those two areas.

Ok, ok, ve lo concedo, dice. Ma può darsi – può darsi – che la trasformazione avvenuta sugli altri settori spinga e aiuti i media tradizionali a convertirsi in strumenti dedicati espressamente a questo tipo di informazione. E qui Johnson cita tra l’altro un motto di Jeff Jarvis di due anni fa che è la miglior definizione dei migliori prodotti di informazione online di questi tempi, quelli come Huffington Post, Daily Beast, Talking Points Memo:

“do what you do best, and link to the rest”

Johnson immagina uno scenario in cui i giornali – i cui lettori sono cresciuti straordinariamente grazie alla rete, sono le copie vendute ad essere diminuite – facciano proprio questo motto ed entrino a far parte di un ecosistema generale in cui ruoli e funzioni siano spartiti tra blog, aggregatori, citizen journalists e altri attori.

È un’ipotesi abbastanza generica, e non è la parte migliore del ragionamento di Johnson: la parte migliore è la smentita della tesi che l’informazione indipendente online possa solo parassitare quella dei grandi media, e la dimostrazione che è invece capace di produrre giornalismo anche più ricco e soddisfacente di quello fornito dai giornali. E un’altra cosa che Johnson sottolinea giustamente, condivisa da molti, è che il casino nel mondo dei giornali di questi ultimi mesi sia stato scatenato dalla crisi più che dalla rivoluzione online.

There should have been a ten-year evolutionary process: the ecosystem steadily diversifying and establishing its complex relationships, the new business models evolving, the papers slowly transferring from print to digital, along with the advertisers. Instead, the financial meltdown – and some related over-leveraging by the newspaper companies themselves – has taken what should have been a decade-long process and crammed it down into a year or two. That is bad news for two reasons. First because it is going to inflict a lot of stress on people inside the industry who do great things, and who provide an important social good with their work. But it’s also bad news because it’s going to distract us from the long-term view; we’re going to spend so much time trying to figure out how to keep the old model on life support that we won’t be able to help invent a new model that actually might work better for everyone.

Lo stesso Johnson infatti conclude in modo simile a Shirky, su quello che sta è già accaduto e quello che accadrà:

 

No doubt there will be false starts and complications along the way. But in times like these, when all that is solid is melting into air, as Marx said of another equally turbulent era, it’s important that we try to imagine how we’d like the future to turn out and set our sights on that, and not just struggle to keep the past alive for a few more years.
So that’s why I wanted to take us back to the College Hill bookstore in 1987: to remind us that the emerging news ecosystem is already around us, and already doing wonderful things. Most of us in this room, I suspect, are already living in the old-growth forests now. It’s up to us to remind everyone else how promising those ecosystems really are — or, even better, to help them live up to that promise.

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