L’unica volta che ero stato lì, otto anni fa.
Son qua, seduto sul bordo del letto su questo plaid ispido e pungente, e me lo penso, quell’uomo. Sessant’anni appena compiuti e un fagotto di umiliazioni portato in giro per mezza Italia. Dormì sotto questo plaid per una decina di notti, cinquantotto anni fa. Pensava che la sua stella fosse tramontata per sempre.
A Campo Imperatore si arriva per una strada a tratti tortuosa che sale su dall’autostrada Roma-L’Aquila. Si supera Fonte Cerreto e si fa un giro di una ventina di chilometri che si infila tra le montagne del Gran Sasso e va a finire su un piazzale a 2126 metri, davanti all’arrivo della funivia che sale da Fonte Cerreto mettendoci assai meno. Per tutto il suo tratto finale, prima di arrampicarsi sul piazzale della funivia, la strada attraversa un altopiano verde e dolce di teatrale bellezza con le rocce del Gran Sasso alle spalle. L’altopiano si chiama Campo Imperatore. È deserto, passa una macchina ogni mezz’ora: a certe ore si affolla brevemente di mucche al pascolo. Nel 1943 la strada era più disagevole ma la funivia c’era e da qualche anno era stato costruito in stile razionalfascista l’albergo a pochi metri dall’arrivo, a pianta rettangolare con una bombatura semicilindrica che offre l’ovest sottostante alle finestre della sala ristorante. A cena stasera, c’è una coppia di ragazzi tedeschi, camminatori da montagna, e nessun altro. Nessun altro ospite nell’albergo, sono ripartiti i pochi torpedoni di gite parrocchiali e boy-scout passati di qua nel pomeriggio, e gli altri visitatori giornalieri. È agosto, ma comincia a far freddo. (segue)