L’amore a San Francisco e altre storie

John Vanderslice ha 42 anni ed è nato in Florida. È un cantautore e tecnico del suono, grande appassionato di entrambe le attività, e le mescola facendo amabili canzonette impegnate o intimiste ma molto ricche e arrangiate. Soprattutto va matto per l’archeologia tecnica, e insiste molto sull’uso di suoni e sistemi analogici: da anni fa incetta di supporti e nastri fuori produzione. Ha studiato i compositori classici ma ha lavorato con molti del giro “di culto” della musica alternative americana: da Sufjan Stevens agli Okkervil River, dai Death Cab for Cutie ai Mountain Goats. Ma per le sue cose ha sempre voluto investire su un approccio diverso, cercare una sua originalità.
Adesso ha fatto un disco nuovo, il settimo, che si chiama “Romanian names” ma parla di San Francisco, che è diventata la sua città. Cioè, dice lui, “parla d’amore a San Francisco” e anche di molti amori finiti male e di cercare di dimenticarli giocando a “Defender” fino all’alba. Ci ha messo dentro violini, oboi (oddìo, si dirà “oboi”?), clarinetti e altri strumenti classici. Ma continua a dire che il suo strumento preferito non è nessuno di questi: “L’anello più importante della catena è lo studio di registrazione”.

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