Cult pop

A forza di esaltare i “grandi artigiani del pop” e di cavalcare uno snobismo revisionista che celebra tutti quelli che sanno fare canzonette perfette da canticchiare o da passare per radio, poi finiamo per non occuparci mai di quelli che invece fanno cose più originali, inventive, difficili. Di grandi cantautori pop sono pieni gli scaffali, e in certi angoletti di certi negozietti ammuffiscono gli artisti “colti”, che con la musica leggera cercano di fare anche altro. Il mese scorso è stato pubblicato in Italia una specie di disco dal vivo (il racconto di uno spettacolo immaginato) dei “The real Tuesday Weld”, un gruppo di musicisti inglesi guidato da Stephen Coates che fa cose un po’ jazz, un po’ teatrali, ma sempre intorno alle canzonette. Il loro “I Lucifer” di sei anni fa era molto bello. Hanno collaborato con le Puppini Sisters, che fanno stranezze più facili e quindi sono un po’ più note, e con i Tiger Lillies, un formidabile trio di cabaret brechtiano che è passato anche dai teatri italiani negli anni scorsi. Il disco dei The real Tuesday Weld, scrissi una volta, mi fa pensare alla parola “vaudeville”, che non ho mai ben capito a cosa si riferisca. Può darsi che un giorno quando sentiremo la parola “cultura” e metteremo mano alla pistola, non troviamo più la pistola. Non sarà niente male.

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