E allora è uscito questo disco di Ben Folds e Nick Hornby su cui c’era grande curiosità da mesi, perché mette insieme un cantautore e uno scrittore, ma soprattutto mette insieme un cantautore di culto e uno scrittore di culto per lo stesso target di trenta-quarantenni moderni e sentimentali che hanno avuto il mondo a portata di mano negli anni scorsi e adesso invecchiano senza averlo afferrato. Forse è diventato inafferrabile il mondo: forse, come molti dicono, una generazione senza traumi o rivoluzioni a portata di mano non riesce più ad afferrare molto, e uno si chiede allora se augurare traumi alle generazioni che verranno. Ma si finisce per leggere dei libri pieni di ironia e che generano autoindulgenza intenerita nei confronti dei propri limiti e fallimenti. Si finisce per ascoltare canzoni meravigliose che tirano gli angoli degli occhi e suscitano malinconie rassicuranti. Ben Folds, bravissimo cantautore americano di cui ho scritto qui altre volte – e del suo pianoforte – e Nick Hornby, romanziere inglese di maggior fama mondiale in un campo però più elitario: uno ha scritto i testi, racconti di persone normali e meno normali, l’altro la musica, e poi ha suonato e cantato. Nessuno dei due ha mai davvero afferrato il mondo, ma sono stati in equilibrio sopra un’onda per un po’, guardando quel che si vedeva lì. È il massimo che possiamo riuscire a fare, tutti noi, ancora per qualche minuto. Poi ci restano le canzoni.
Invecchiare cantando
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Comunque, né tu né emmebi menzionate il contributo dei Pamplemousse, che a me sembra fondamentale per creare quell’impressione di sospensione in uno spazio ironico e autoindulgente, tipico della nostra generazione senza un passato degno di nota.
Il finale dell’articolo conferma quanto si sospetta leggendo: l’autore è depresso. Pare una parafrasi del testo di “Quanto ti ho amato” di Benigni/Piovani.
Meno male che su queste pagine si parla spesso della necessità di rinnovamento generazionale del PD. Dopo st’articolo, viene il dubbio che il dibattito sia solamente una maniera per continuare a buttarla in caciara e avere la scusa perenne per non afferrare mai il mondo.
A meno che non abbia capito e sia un post sulla fine del mondo nel 2012.
Ammazza, Mi hai steso con questa frase “lo stesso target di trenta-quarantenni moderni e sentimentali che hanno avuto il mondo a portata di mano negli anni scorsi e adesso invecchiano senza averlo afferrato”.
Perche’ e’ proprio cosi’.
ma che questa generazione di 4oenni è come tutte le altre che l’hanno preceduta, e cioè nasce , invecchia, e gli dispiace, e poi muore, no ?
questa tristezza da capello bianco è insopportabile ! fatevi un botox e non se ne parli più !
sembra che la presa d’atto della propria sostanziale insignificanza, che dovrebbe accompagnare qualsiasi maturità, sia insostenibile per i tanti figli dei baby-boomers.
In effetti non vedo rivoluzioni a portata di mano, ma decine di amici e conoscenti che perdono contratti dati scontati per anni, professionisti in cassa integrazione, progetti che ci hanno dato da mangiare per anni che vengono cancellati con un colpo di penna, persone che alla fine avevano ripiegato sulla scuola considerandola, tutto sommato, un approdo sicuro e che non lavorano per mesi, sperando in gravidanze inaspettate e fratture improvvise, non so per voi, per me è un trauma.
@Barbara P: ecco, Barbara P, sai qual e’ il problema? “Ripiegare sulla scuola”, come scrivi tu. Che orrore! Uno non dovrebbe ripiegare sulla scuola perche’ e’ un approdo sicuro: la scuola dovrebbe essere una passione, una missione. Questo è il trauma. Pensa che crescita in una classe guidata da un insegnante che… ha ripiegato sulla scuola.