Cervelli pavidi

Il dolore dei cervelli in fuga, la nostalgia, la frustrazione della scelta obbligata, l’umiliazione del confronto col proprio paese, io provo a capirle, queste cose. Ma anche voi, da laggiù, immaginatevi come si sentano i nostri cervelli che non hanno avuto la forza di partire.

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24 commenti su “Cervelli pavidi

  1. alex

    Boh, io non ho nostalgia dell’Italia (al massimo di genitori e amici), né mi sono mai sentito frustrato per il fatto di essere dovuto andare a lavorare all’estero: succede, e capisco pure che in Italia non ci sia spazio per gente come me (mica tutti siamo ingegneri o fisici o medici di primo piano: il paese può tranquillamente permettersi di “perdere” dei cervelli che si occupano di materie umanistiche come faccio io). In compenso c’è sempre un sacco di gente, specialmente qui sulla rete (e scommetto che ce ne sarà pure tra i commentatori a questo post), che rinfaccia a chi, come me, se n’è andato di essere stato un pavido, un egoista, di averli lasciati soli ecc. Allora, facciamo una cosa: smettiamo noi “emigranti” di sentirci tutti come tanti fratelli Rosselli in esilio (ché loro ci dovettero andare per ragioni politiche, non in cerca di una vita migliore). Nessuno di noi, in Italia, avrebbe avuto le chances che ha nel paese in cui si trova adesso, giusto? Anche se avessimo vinto una cattedra in un ateneo italiano o trovato un posto in un’azieda italiana, sappiamo che le condizioni di lavoro sarebbero state peggiori. Quindi, non lamentiamoci. E smettetela voi che siete rimasti di rinfacciarci la nostra partenza: siamo andati a cercare una vita migliore, questo non è un crimine né un atto di vigliaccheria.

  2. cacioman

    Ma anche come si devono sentire quelli che cervelli non sono (per ignoranza, tara congenita, codardia, cattiva educazione, ecc.) e non sono partiti perché nessuno se li sarebbe mai presi. Quelli che arrancano a tirare la carretta e devono anche sorbirsi i pierini del nemo profeta in patria che si lamentano, lamentano, lamentano.
    Avete un contratto a Stanford? Bravi, bravissimi, tenetevelo stretto (e non rompete).

  3. t_floyd

    Straquoto tutti e due, io sono in fuga al massimo sono in fuga da me stesso, e da ben prima che lasciassi l’Italia. Quelli che scova Rep., piangenti e traboccanti idee morali da impartire non sono cervelli, ben che meno in fuga: sono auto-esiliati boriosi con il complesso avanzato del nonno (ah ai miei tempi, o meglio ah all’estero!)

  4. matnet

    Ah bene. Vedo che non sono il solo d essere un po stanco di questa retorica della fuga di cervelli. mi sentivo un po’ in colpa a pensarlo prima :-)

  5. Esau Sanchez

    Perfettamente d’accordo con cacioman. Chi piange perche’ insegna o esercita all’estero con stipendioni non lo capisco: mi sembra un bamboccione frustrato: “Insegno ad Harvard, ma vorrei mangiare ogni domenica i fusilli di mammà”. Pensa a quelli che neppure per vacanza possono permettersi di varcare il confine.

    ps. Luca, ma tu e mantellini vi mettete d’accordo? Anche da lui si parla di fuga di cervelli.

  6. Zio Dave

    Fantastico, adesso siamo pure diventati dei bamboccioni frustrati, dei piagnoni, dei radical-chic, dei pierini, degli intellettualoidi da quattro soldi e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.

    A quanto pare rientro a pieno nella categoria: lavoro in Regno Unito, e non avete idea di quanti italiani ci siano in giro, non solo in accademia, non solo pluridottorati, non solo novelli Einstein in erba. L’unica cosa che abbiamo in comune sono le nostre storie: in Italia ci hanno offerto contratti capestro, mansioni umilianti e paghe ridicole. All’estero abbiamo trovato un paese normale, con tutte le sue difficolta’ e problemi.

    Luca, non capisco dove vuoi arrivare con questo post: che senso ha scatenare una guerra fra poveri? Fra coloro che sono vittima della stessa situazione? Se ogni tanto c’e’ qualche italiano all’estero che fa della stupida retorica sulla propria situazione, e’ anche per la mancanza di una istituzione che difenda gli interessi dei giovani, neolaureati e non, che si trovano a che fare con un mercato del lavoro osceno.

    Personalmente vorrei che qualche sindacato si attivasse anche per i giovani precari, e non solo per gli operai di Pomigliano! Vorrei che si facesse una riforma seria del mercato del lavoro, garantendo si’ la flessibilita’, ma anche i sacrosanti diritti sociali. Sono piagnistei? Sono lamentele da intellettuali snob?

    Alex ha detto bene: perche’ dobbiamo attirarci il vostro biasimo se ci siamo rifiutati di diventare dei precari a vita? Prima ci renderemo conto che siamo tutti sulla stessa barca e prima riusciremo (forse) a cambiare le cose.

  7. voldenuit

    Ah, bene, Luca. Avevo inserito un commento dello stesso tono ad un articolo del Post di qualche tempo fa. Vorrei solo aggiungere che ci vuole forza e coraggio anche nel rimanere e cercare di cambiare questo paese. Anzi, secondo me ce ne vuole anche di più…

  8. alex

    Insomma, chi se ne va e rimpiange l’Italia poi viene accusato di volere i fusilli di mammà, mentre chi i fusilli di mammá li mangia ogni domenica è un eroe rimasto a lottare per cambiare il paese. La vogliamo finire con queste contrapposizioni basate su generalizzazioni assurde? Ha ragione Zio Dave, ad emigrare non sono solo i cervelli (caro Esaù), e non tutti i cervelli vanno ad Harvard: io sono andato in un paese periferico in un’università che di sicuro non apparirà mai nei rankings mondiali, ma ho un lavoro e un salario più dignitosi dei miei colleghi rimasti in Italia. Io sono andato a cercare fortuna all’estero, loro no – per mille ragioni: chi non ha potuto e chi non ha voluto. Non sono uno spocchioso traditore io, non sono dei bamboccioni loro. Basta con le semplificazioni cretine (cretine le semplificazioni, non chi le fa: non voglio insultare nessuno).

  9. Giordano

    Quoto Zio Dave!
    Io sono un “ibrido”: lavoro e vivo all’estero da 3 anni ma per una ditta italiana. Le mie motivazioni sono quelle di Zio Dave: siamo (noi trentenni) stati imbrogliati. Ci è stato di andare a scuola, di studiare e stare zitti, che i frutti arriveranno. Invece a 30 anni per realizzare ciò che i miei avevano fatto a 25 (comprare casa) ho dovuto emigrare, lasciando in Italia la mia fidanzata…e quando tornerò avrò forse ancora 15 anni di mutuo!
    In tutto questo devo anche pensare di essere in una condizione privilegiata, perchè chi è rimasto a casa (per scelta o timore) spesso un lavoro non ce l’ha.
    Stare via così a lungo ha dei vantaggi però forse chi resta ne vede solo i lati positivi (ce ne sono, e tanti): non si pensa mai agli amori o alle amicizie perse, alle passioni che non si possono più coltivare…
    Sono sinceramente dispiaciuto e preoccupato per il mio paese e per i “cervelli” rimasti (ci vuole più coraggio a partire o a restare?) ma d’altro canto a volte, vista l’italia da fuori, pare che di cervelli in giro non ne siano rimasti pochi.

  10. Luca

    Ora vado a leggere il post di questo Mantellini, che di solito non lo seguo: ma è gentile a venire a leggere il mio. Quanto agli altri, parecchi non so cosa abbiano capito di quello che ho scritto. Io sostengo da molto tempo che avere l’opportunità di andare all’estero è una gran fortuna, ma ho rispetto per chi dice che lo vive come una costrizione o una scelta forzata: se lo dice, non può che essere vero. Quello che invece dicevo qui, con leggerezza, è che delle volte io – e forse altri – penso a quello che mi sono perso e mi sono sottratto non facendo la stessa scelta per sola pigrizia.

  11. ntropia

    Secondo me parlare della vita fuori dall’Italia senza averla vissuta non ha senso. Avere un lavoro dignitoso e vivere nel proprio paese sono due valori indipendenti, ed essere costretti a scegliere tra l’uno e l’altro e’ estremamente triste.
    Basta provare per credere: chi se n’e’ andato non scappa, ma il piu’ delle volte fa un sacrificio.

    I pochi che prendono gli stipendioni fanno notizia, ma non tutti sono nelle stesse condizioni. All’estero non ci sono solo andati solo i grandi scienziati italiani, ma anche camerieri, parrucchieri e meccanici. La maggior parte di noi lavora senza lamentarsi, come dice Cacioman.

    Io non prendo molti soldi, non insegno ad Harvard, ma ai fusilli di mamma’ ci penso ogni domenica. Quelli e tutti gli affetti, i posti familiari che ho dovuto lasciare a casa.

    Non biasimo chi ha scelto di restare, ma non accetto di essere criticato perche’ la scelta giusta per me e’ stata un’altra.
    Quoto Zio Dave e Giordano: la gente che lascia l’Italia cerca una possibilita’, non la via facile.
    Nessuno ti regala niente, qua fuori.

    Poi, pero, tutti pronti a battere le mani se qualcuno apre il bar piu’ figo di New York, scopre o inventa qualcosa.

    Che brutto post, Luca.

  12. Thoreau

    Messaggio per Luca Sofri:

    Il mio lavoro all’estero a te lo spiego in cinque giorni, se puoi fare altrettanto facciamo a cambio per un anno.

  13. piti

    Questa volta capisco in piano il post e le considerazione di LS. Non dice niente di male di chi va, per fare lo scienziato o il cameriere. Nemmeno dice che chi è partito ha trovato l’albero della cuccagna. Dice, magari poteva aver fascino andarsene, peccato spendere tutta la vita in questo Paese.
    Ho pochi anni più di lui, e penso le stesse cose.

  14. BozoTheGrey

    Vivo a Londra. Molti degli espatriati che conosco hanno nostaglia dell’Italia, chi piu’ chi meno. Magari non lo dicono. Di solito quelli che non lo dicono sono anche i piu’ noiosi e inopportuni profeti ex patria. Ma sono convinto che anche questi, nella gran parte dei casi, “pontifichino” non per esibire la propria sapienza ma piu’ per comunicare al di la’ del muro che esiste un altro modo di fare le cose. Lo fanno nella speranza che qualcuno ascolti e che il sogno di tornare un giorno in Italia a mangiare fusilli e lavorare con gratificazione non tramonti del tutto.

    Poi a me sembra che il post di Luca parlasse d’altro, ma questo e’ il bello dei forum.

  15. gigi

    se é una risposta a quello che ti ho scritto da qui, mi pare la più bella che potessi scrivere.
    In ogni caso hai capito tutto.

    La vita é dura fuori dall’italia, ma non c’é il trucco e partendo da zero se te la giochi veramente arrivi dove vuoi. A 35anni, non a 65.

  16. minimAL

    A volte non è pigrizia, Luca, ma situazioni contingenti che impediscono di fare delle scelte.
    Mia sorella da dieci anni gira il mondo e quando torna qui in Italia ne soffre i limiti sociali e tecnologici.
    A me l’occasione d’oro si è presentata 16 anni fa: lavorare per una radio canadese e “fare” cultura italiana all’estero. Due giorni prima la firma del contratto sono finito in ospedale per seri problemi; da allora oltre a odiare il mio corpo, mi mangio le braccia fino ai gomiti per la sfortuna che mi ha colpito.
    Uscire da questo paese non è né eroico né antipigro; semplicemente qui non si può crescere come si vorrebbe, non c’è spazio per il nuovo né tantomeno per il giusto.
    Se qualcuno resta nella palude avrà le sue buone ragioni: ma non mi parlare di pigrizia.
    Magari l’ho presa sul personale, e me ne scuso. Intorno a me ci sono decine di talenti che vorrebbero andar via (ti ricordo che lavoro in Rai), ma non possono per mille ragioni, soprattutto famigliari, spesso economiche, magari anche per limiti culturali.
    Ma evita di generalizzare.
    Saluti,
    Alessandro

  17. rafeli

    Il post pur essendo criptico e quasi incomprensibile tocca un nervo scoperto.

    Comunque quella di noi all’estero e’ una categoria cosi’ ampia e variegata che e’ impossibile fare qualsiasi generalizzazione.

    Forse una cosa si puo’ dire: chi e’ fuori ha fatto tutto con le proprie mani, senza farsi aiutare da cognomi o amicizie. Tra chi e’ rimasto, alcuni possono dire la stessa cosa, altri invece No.

  18. curduman

    Andai in America a trovare un amico nel 2002.
    Piu’ che disilluso dall’italia, mi trovai affascinato dal 24hr lifestyle.

    Decisi di emigrare convinto che se avessi avuto bisogno di un gelato alle 4 di mattina o di una Cherry Coke a mezzanotte, ci sarebbe stato un 7/11 o qualcosa di simile a darmi conforto.

    Non ho guardato indietro da allora (6 anni).

  19. Esau Sanchez

    @curduman: che lavoro hai trovato in America? (mai i seven-eleven non chiudono… alle undici?:-) )

  20. marco.bomben

    Condivido con chi dice che generalizzare sia sempre sbagliato.
    Come mi sembra un po’ “fanciullesca” la campagna di repubblica sugli italiani all’estero: andava bene questa porzione di italiani per ribadire la propria opinione su questo governo e allora dentro tutti, e tutti protestano! … ma non è mica vero.

    La mia piccola storia personale racconta di un momento in cui per continuare a fare il mestiere che mi piace si doveva lasciare l’Italia. Ci ho pensato per tempo e ho detto si.

    Detto questo son d’accordo che tutta questa ‘compassione’ non è strettamente richiesta.

  21. alex

    @giannigipi
    avrebbe dovuto dichiararsi prigioniero politico stile toni negri, così vedrai che non solo non te lo riconsegnavano, ma gli davano pure una cattedra alla sorbona

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