Ma quanto è stupido il dibattito su esportare la democrazia? Quanto lo è stato, quanto lo sarà, quanto ancora occuperà il nostro tempo annoiato fingendolo ricco di riflessioni sul mondo? Quanto è stato l’ennesima discussione di parole sradicate da un senso, da un contesto, da significati articolati e complessi?
Esportare la democrazia, ognuno parla di una cosa diversa. È ovvio che esportare la democrazia è un buon proposito, come esportare ogni buona cosa. Il punto eventualmente sarebbe con quali mezzi la esporti, a quali prezzi, con quali risultati: qui già salta completamente il dibattito teorico e astratto, che la democrazia è stata esportata con mezzi, prezzi e risultati diversi ogni volta. A volte è stata una buona idea e un progetto sensato, altre volte una sventata stupidaggine.
Abbiamo allora discusso di esportarla con la forza? Ma gli interventi militari hanno sempre un milione di altre ragioni e altri risultati che non solo quello di esportare la democrazia: non si è mai fatta una guerra solo per creare un sistema democratico: e allora gli interventi militari devono essere d nuovo giudicati per i loro costi e i loro risultati, e per i loro costi.
Se aiutiamo i libici ad abbattere Gheddafi con severe censure dell’ONU, con interventi dei caschi blu, con i caccia che impediscano agli aerei di bombardare i civili o finanziando un complotto per ucciderlo, fa una differenza o no? Avremo esportato la democrazia? Se appoggiamo un nuovo leader libico che abbia studiato in Occidente e che sia in grado di avviare un processo democratico e moderato avremo esportato la democrazia? Se interrompiamo ogni rapporto economico con la Libia e avviamo sanzioni che la costringano ad accettare sotto questo ricatto un percorso democratico, avremo esportato la democrazia? Se mandiamo dei soldati a combattere contro i mercenari che sparano sulla popolazione? Tutte queste ipotesi sono uguali?
Le pretese di questi giorni di decidere se avesse ragione Bush (oppure De Michelis) sono sciocche e tipiche del grande bar in cui ci siamo seduti: Bush ha detto e fatto molte cose spesso in contraddizione tra loro e che hanno generato risultati lontanissimi e in molti casi ancora da valutare definitivamente. Ci sono argomenti buoni per tutti: sia per chi dica “a-ha, vedi che erano pronti per la democrazia?”, sia per chi invece “vedi che se lasciavamo stare l’Iraq si ribellavano da soli?”.
Chiacchiere, le solite cose da curve e ricerca di affermazione di sé. Il mondo è più complicato di così, ed è fuori dal bar.
Beh forse il dibattito è stupido se ci si ferma alla prima domanda. Se invece, come si dovrebbe fare in un dibattito serio, si approfondissero tutte le altre domande poste, non solo credo non sia stupido ma addirittura necessario. Il fatto che si tratti di questione complicata non deve portarci a rinunciare a costruirci opinioni in merito.
La complessità delle questioni, le tante variabili indesiderate e gli errori compiuti nell’applicare i “principi” rendono forse il dibattito da “bar sport”?
Io non credo, anzi mi pare molto superficiale porla in questi termini.
Un eventuale intervento armato in Libia a questo punto non lo vedo come “esportare la democrazia” ma più come fermare un genocidio.
Per me semplificando all’estremo esattamente come la polizia apre il fuoco contro qualcuno che spara sulla folla, così le nazioni unite, la NATO, gli USA o l’UE dovrebbero intervenire rapidamente e violentemente.
Naturalmente il mondo e la politica tra le nazioni sono estremamente più complicate di così, e non parliamo di un agente con una pistola ma del muovere eserciti (costoso sia come risorse, sia come vite).
Nel mio mondo ideale se provi a bombardare il tuo popolo dovrebbero farti saltare in aria tutti gli aeroporti entro 24 ore.
Al netto di ogni urlante – e purtuttavia fisiologico – guelfi-ghibellismo, mi pare che una cosa emerga, con i germi della speranza: Il mondo è più complicato di così, ed è fuori dalle tende di Gheddafi, dalla televisone di stato, dai confini posticci, dai paraventi di regime, creati da oligarchie di potere più o meno efferate. Se ne stanno accorgendo nuove generazioni di giovani affacciati alla mezzaluna fertile dalla parte sud del mondo, e grazie a possibilità di comunicazione che i loro padri non avevano. E’ quel fiume carsico elettronico, di cui, per grazia divina, sono difficilmente controllabili fonte, affluenti, riaffiori ed foce.
Che le persone normali, non addentro ai problemi della geopolitica, parlino di un tema come questo come fossero al bar è vero, ma anche abbastanza naturale. Con l’aggravante che, nel nostro paese, le opinioni su argomenti complessi si rifanno soprattutto all’area politica di appartenenza. Il dramma è che sono i nostri politici a parlarne come fossero al bar, ad essere di una inadeguatezza ed ignoranza sconfortante, a parte alcuni rarissimi esempi. Con delle conseguenze imbarazzanti e difficili da comprendere, come la simpatia di certa nostra sinistra per vari dittatori e/o movimenti illiberali mediorientali solo perché visti in chiave anti americana o anti israeliana. Quando la sinista, per definizione e a spanne, dovrebbe sempre appoggiare le democrazie contro i totalitarismi. Perché la peggior democrazia è sempre meglio del miglior despota. Però, poi, di Fidel che ne facciamo?
Boh, ci dev’essere stata qualche mancanza di chiarezza da parte mia. Massimo, non parlavo delle “persone normali” al bar: quelle è ovvio che parlino come al bar e ci mancherebbe. Parlavo del dibattito tra opinionisti e giornalisti di presunta maggiore capacità di analisi. Dan, siamo d’accordo, appunto. Marcello, ho scritto il contrario: che il trascurare le variabili e le complessità avvilisce il dibattito.
Romano sul Corriere di oggi cercava di essere meno banale, qualcun altro anche ma, nella sostanza, il ragionamento di Luca è la realtà delle cose. Il fatto è che se abbassi i toni da bar alla guelfi/ghibellini, se proponi una “dose di complessità” come una sorte di ipoteca da utilizzare prima di misurarsi con ipotesi di soluzione, vendi meno giornali, sei seguito da meno persone e devi perfino far rientrare, nelle cose possibili, il compromesso, un equilibrio instabile e in progress che ti fa persona “non utile” al dibattito (non ti chiama Santoro ma neppure al Tg della 7…)
Beh, ci sono troppe variabili perchè non diventi un po’ troppo teorico…..e ozioso.
Esportare sì, ma ad ogni costo? No. A quale costo? Segue dibattito.
Esportare a tutti? Beh no, e a chi sì e chi no? Dipende dai casi, esaminiamo i singoli casi.
E chi esporta? Va bene anche israele? No, meglio i norvegesi. Non ne hanno voglia. I soliti americani? Beh un momento….dipende…
A pensarci un po’ su mi sembra ozioso anche il dibattito sul fatto che lo sia :-)
@Luca
ok, bene. allora però non è stupido il dibattito su “esportare la democrazia”. Perchè al mondo esistono ancora quelli che pensano “business uber alles” e anche quelli che pensano che alcuni popoli abbiano diritto a sviluppare forme differenti di governo… e se queste non prevedono la libertà e i diritti umani mica possiamo interferire.
Io penso che dobbiamo interferire. Oggi nel mondo ci sono Stati, fondazioni, personalità che interferiscono di più e stati, fondazioni e personalità che non interferiscono per niente. Noi italiani abbiamo sempre fatto parte di questi. E’ poco etico.
ciao
@marcellosaponaro
sarà anche poco etico il non interferire ma sarebbe interessante riflettere sul come farlo, per capirci, al tono sdegnato della Hillary Clinton seguono, alla necessità, mezzi e operatività molto persuasive (e costose e eticamente “complicate”) così come la Francia chiede pesanti sanzioni e ha i parà in zona (idem come sopra), ecc.
I tedeschi fanno un po’ gli equilibristi ma il loro ex premier gestisce gli affari dello stesso Putin cattivissimo in Cecenia e in patria.
Non so se essere nella parte della lavagna “di chi interferisce” sia eticamente più serio e coerente o se invece lo diventa proprio quando si decide di sporcarsi (anche eticamente) le mani.
Perchè il dibattito non sia banale, inutile o comunque poco interessante deve svolgersi tra persone estramamente INFORMATE sulla situazione geopolitica e storica nell’area. Solo in questo modo si è certi di avere di fronte tutte le variabili necessarie.
E’ ovvio che il dibattito così concepito avviene fuori dal bar, in ambiti più “ufficiali”.
Un giornale, invece, dovrebbe cercare, a me pare, di diffondere le condizioni per cui il dibattito fuori da queste sedi “ufficiali” gli si avvicini comunque il più possibile.
Con l’informazione e la sensibilizzazione.
A me pare che questa sia la linea del Post…anche se Luca qui mi pare un po’ scoraggiato…
è stato Google a esportare la democrazia
i diritti delle donne non si esportano, ma mi ricordo quando nell’estrema sinistra inneggiavano alla rivoluzione in iran contro lo scià. io sinceramente fossi una donna libica avrei paura di cadere dalla padella nella brace
Mi sembra un intervento molto sconclusionato, sinceramente.
A me il dibattito pare tutto tranne che stupido, invece, è un dibattito importante.
Partiamo dall’inizio: il dibattito nasce del 2003 quando gli USA, alla ricerca di motivazioni più serie delle risibili ADM, sfoderano questo prezioso concetto: l’Iraq non è una democrazia, ergo invaderlo per liberarlo è cosa buona e giusta.
Ammazzeremo un sacco di gente? Fa niente, è cosa buona e giusta. E così, ovviamente, non fu.
Fa differenza se liberiamo la Libia ammazzando Gheddafi con un commando, mandando un commando, o bombardando Tripoli?
Ma che domanda è? Ovvio che la fa.
Ovvio che le conseguenze alle nostre azioni saranno diverse.
Non credo proprio che si possa dire, sintetizzando, “Va bene, palla al centro. Il dibattito così com’è è stupido e spinge a prendere posizioni ideologiche”
Innanzitutto credo ci sia sempre troppo astio verso le posizioni ideologiche, a mio avviso in nome dell’ideologia neutralista che attribuisce alle distinzioni ideologiche lo scontro altrui.
L’espressione ‘esportare la democrazia’ fa semplicemente pena. Banalmente, si esportano l’olio, la lana, i televisori e altri prodotti a fini commerciali. L’esportazione è la vendita di beni e servizi da uno stato all’altro. Spero non mi si dica che al culmine dell’ondata di neoliberismo sia solo un caso che si usino termini commerciali per parlare delle relazioni internazionali.
Ecco, se è vero, la democrazia non si può esportare e il dire il contrario è un grave errore concettuale. Quindi non si può fare niente? No, ma questa è un’altra storia.
La trivializzazione del dibattito mi sembra dovuta per una gran parte ai sostenitori della bontà dell’idea di esportare la democrazia perché introducono l’idea che la democrazia sia un atto o una qualità semplice (spesso identificata con le elezioni o magari con un certo grado di libertà d’opinione) che qualcuno può dare a qualcun’altro (a meno che quell’altro non la voglia). In poche parole, non ha senso domandarsi se una nazione sia oppure no una democrazia ma ha senso chiedersi quale sia il grado di democraticità del governo di una nazione (ci possono essere le elezioni e la libertà d’espressione ma il livello di democraticità può essere molto basso).
Fabio, ancora con questo nominalismo? “Esportare” è una parola, “esportare la democrazia” uno slogan. L’una può essere usata in un contesto economico, o per estensione o figura retorica in senso traslato; l’altro può calzare o meno, essere efficace oppure no. Punto. A te è inviso perchè è inviso chi l’ha coniato. Di quest’ultimo puoi certamente contestarne la politica internazionle, ma dedurne la fallacia per mezzo di filologia zelante… che noia, perdonami. Se l’espressione fosse uscita in qualche testo dell’internazionale socialista, mi sa, saremmo a filologizzare un tantino più in là.
“Esportare la democrazia” – piaccia o no l’espressione – significa semplicemente tentare di rimuovere gli ostacoli che impediscono il libero esercizio dei diritti politici e delle libertà individuali in un paese sottoposto a un regime dittatoriale. A seconda dei casi questo si può ottenere finanziando le opposizioni, boicottando o logorando i governi, uccidendo i dittatori o, quando serve, facendo la guerra. Il tutto per creare le condizioni necessarie allo sviluppo di una società civile. Obiettivi essenziali: la fine della dittatura, la fine della repressione, l’instaurazione dei principi di rappresentanza e di alternanza politica, il rispetto delle opposizioni, la garanzia dei diritti e delle libertà. Insomma il cammino verso lo stato di diritto, un processo lungo, costoso e pieno di ostacoli ma meritevole di essere iniziato e perseguito.
Non c’è bisogno di girarci attorno e non è difficile come dice Sofri. E’ un concetto semplice, civile, umano che, come tutte le cose quando si fanno politiche, si incontra e qualche volta si scontra anche con logiche di altro tipo. Se ne può discutere, ci si può litigare, e si può perfino fregarsene. Ma per favore non credete a chi vi dice che il mondo è sempre più complicato e che quelle degli altri sono solo chiacchiere da bar. In genere è solo perché lui quel mondo e quelle chiacchiere non le capisce molto bene.
Saluti.
Enzo Reale
Ma quanto è stupido il dibattito su esportare la democrazia?
Tantissimo, specie se – come in questa sede – non si chiarisce cosa si vuole intendere per “democrazia”. Parlare intorno ad una parola non ben definita – ormai lo si dovrebbe sapere – è banalmente tempo perso.
Per cui cosa si voleva intendere per democrazia in questa sede?, un sistema politico alla occidentale, che permetta al popolo bue di eleggere ogni tot anni un dittatore/una oligarchia?, il suffragio universale?, il pluralismo?, lo stato di diritto?, la possibilità di accedere alla rete “”senza censura””?, la dittatura della maggioranza?…
La risposta sarà diversa a seconda dei casi.
Ciò che noi oggi chiamiamo democrazia non si è mai sviluppata ex se.
E soprattutto quasi sempre si è sviluppata facendo un baccano dell’altro mondo e spargendo molto sangue.
Seguitemi.
La democrazia non è qualcosa di “umano”. In natura comanda il più forte, perché mai il più forte dovrebbe accettare che il suo potere di imperio venga “redistribuito”?
Il motivo per il quale la democrazia non si sviluppa in poco tempo, ma necessita di tempi lunghissimi, è proprio perché va ad intaccare dinamiche che in certe società non sono mai state in discussione: chi si sarebbe mai sognato nel 1500 di contestare l’autorità (direi quasi divina) di un Re?
Epperò la Rivoluzione francese non si è sviluppata per miracolo, ma è figlia di sette secoli di pensiero (e di civiltà) europeo.
Ho paura che nei paesi oggi alle prese con queste rivolte popolari manchi del tutto questo background (sette secoli di pensiero).
“chi si sarebbe mai sognato nel 1500 di contestare l’autorità (direi quasi divina) di un Re?”
«Colui che allo scopo di liberare la patria uccide il tiranno viene lodato e premiato quando il tiranno stesso usurpa il potere con la forza contro il volere dei sudditi, oppure quando i sudditi sono costretti al consenso. E tutto ciò, quando non è possibile il ricorso a un’istanza superiore costituisce una lode per colui che uccide il tiranno».
Tommaso d’Aquino.
O se vuoi si possono citare gli innumerevoli papi e imperatori che Dante mette all’inferno. E siamo ancora in pieno medioevo….
Certo che è solo uno slogan, ma non uno slogan come tanti altri. Per esempio non è uno slogan come ‘O così o Pomì’. A parte gli scherzi, com’è ovvio, non sono d’accordo che il problema dell’espressione ‘esportare la democrazia’ sia solo di tipo nominale.
E’ un motto di facile memorizzazione che simula la facile comprensione ma se non viene rimosso crea le confusioni di cui giustamente si lamenta Luca Sofri.
Il linguaggio è commerciale perché viene elaborato in un ambiente che pensa di dovere tutelare interessi economici e che la tutela degli interessi economici equivalga alla tutela dei valori di una Nazione.
Non è assolutamente vero che ‘esportare la democrazia’ significa solo rimuovere gli ostacoli ma (devo dire a costo di sembrare stupido) significa solo esportare la democrazia. L’espressione non è solo ambigua è un puro non-senso cui siamo condannati e dal quale dobbiamo liberarci. Certo, ognuno può intendere quello che vuole, ma allora parliamo d’altro e non sapendo più cosa ha in mente ciascuno non potremo che cadere nel dibattito senza via d’uscita che si diceva.
Bush aveva ragione? Semplicemente aveva altri interessi, diversi da quelli che in buona fede assegnavano un significato positivo all’espressione ‘esportare la democrazia’. Non mi si vorrà dire che i discorsi di Bush sulla guerra infinita per fare dominare la Libertà con la L maiuscola erano o sono da prendere per il loro valore letterale? Però, ribadisco, non si può gettare un colpo di spugna dopo dieci anni. Qualcuno ha sostenuto e nobilitato ideologicamente le guerre intraprese con lo scopo dichiarato di esportare la democrazia. Non è che, siccome è andata male, possiamo dire che erano tutti confusi e presi dal vento delle retoriche ideologiche.
Esportare la democrazia come scontro di civiltà sono espressioni della nostra cultura, coniati per essere messi a servizio, direttamente o indirettamente dal mondo occidentale per giustificare le proprie azioni. E se proprio vogliamo essere onesti e riconoscere l’originalità e lo sforzo dei popoli che si ribellano al loro tiranno alle popolazion nord-africane dovremmo chiamarle col loro nome più neutro: rivoluzioni. E’ una parola troppo grossa? E’ forse troppo presto, alcune saranno delle rivoluzioni mancate, altre si troveranno con un nuovo dittatore, qualcuno di questi paesi, mi auguro, sperimenti finalmente una forma di democrazia, ma di certo la democrazia non può essere esportata, non c’è product placement che tenga.
A me sembra che prima di chiedersi se “Esportare la democrazia” è bene o male, bisognerebbe chiedersi che cos’è la democrazia. Perchè “Democrazia” è una parola abusata e ideologizzata. Il suo senso originale è “potere preso violentemente del popolo”, e non aveva assolutamente un significato positivo, almeno per i greci che la coniarono.
Il libro di Canfora “Democrazia storia di un’ideologia” racconta molto bene tutta questa storia…