Quelli che hanno fatto la rivoluzione

Da decenni si fanno riflessioni su una mancanza di maturità, di passaggio di stato, di ingresso nell’età adulta, di responsabilità, delle ultime generazioni, in rapporto alle precedenti. Il paragone offre differenze lampanti e indiscutibili in termini di ritardo sul diventare adulti come lo si intendeva una volta: e le riflessioni si concludono di solito con la considerazione rassegnata che chi non abbia vissuto fatiche, difficoltà o sofferenze del calibro di una guerra, o almeno di un Sessantotto, inevitabilmente non sia mai entrato in una condizione che imponeva finalmente di prendere alcune cose sul serio e misurare se stessi sulle dimensioni del mondo e degli altri, più grandi dei propri tormenti personali che altrimenti occupano di default le vite di ognuno.

Ed è tanto vero quanto inevitabile, e sciocco pensare di affrontare questo cambiamento auspicando che qualcosa lo ostacoli – una guerra o una implausibile presa di coscienza generale – e continuando a rimpiangere cose che non sono più. Ma il cercare di ripensare se stessi e le proprie responsabilità è un tema grandissimo e su cui ho delle altre cose da scrivere.
Adesso volevo invece dire di un pensiero sull’aspetto laterale di queste riflessioni, quello del rammarico delle suddette generazioni per non aver partecipato a nessuna rivoluzione, dopo il Sessantotto (persino quelli del Settantasette si sono trovati con un rimasuglio).

Ma se ogni rivoluzione è rivoluzionaria anche rispetto alle precedenti, e se un Sessantotto è stato tutt’altro rispetto a una Guerra Mondiale, e così via, quella che la mia generazione (io tirato per i capelli con quelli più giovani di me, per fortunata tempestività) ha vissuto in questi anni sul fronte delle nuove tecnologie è stata la nostra rivoluzione e la nostra prova di maturità. Ed è stata di dimensioni straordinarie e sovversive: abbiamo vissuto una cosa pazzesca e ne siamo stati protagonisti e cambiati. I modi in cui l’abbiamo affrontata e ne abbiamo raccolto i frutti sono stati diversi per ognuno, e qualche volta hanno inclinato verso una nuova maturità altre volte meno (ma questo vale anche per le rivoluzioni precedenti). Ed è stata assolutamente generazionale: chi è nato più tardi, già in questo mondo, non avrà mai la percezione critica e vissuta del cambiamento che abbiamo avuto noi. E chi era nato prima non riacciufferà mai più come suo un mondo in cui si è trovato da estraneo, per quanti benintenzionati e proficui sforzi abbia fatto di capirlo. Lo vedo ogni volta che ascolto una persona intelligente sopra i cinquant’anni parlare di Internet.

Vale per le guerre, vale per gli anni Settanta, vale per molte esperienze ed eventi grandi e piccoli. Li puoi capire con maggiore distacco da fuori, ma li puoi conoscere bene solo da dentro (poi a volte sei scemo, e non conosci niente nemmeno da dentro): i due spazi sono complementari. E nessuno conoscerà più – è una cosa di cui mi sono convinto da tempo vedendomi intorno tentativi e approcci diversi – come funziona il cambiamento di questi due decenni come lo hanno conosciuto quelli che avevano più di vent’anni e meno di trenta quando ci sono finiti dentro. Ed è stata una rivoluzione che levati.

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7 commenti su “Quelli che hanno fatto la rivoluzione

  1. Raffaele Birlini

    Che impressione vedere l’uso del tempo passato. Che ci sia una porta chiusa fra quelli della mia età e qulli più vecchi lo davo per scontato, ma che ce ne fosse una con i nativi digitali no, pensavo di no. E se una porta c’è non è blindata come quella che impedisce il dialogo con i sessantottini, a loro volta impediti con i babyboomers, a loro volta in difficoltà coi ragazzi del ’99. Insomma, fra me che ho visto nascere pac-man e usavo il modem per chiamare in interurbana una bbs alla velocità di pochi migliaia di baud e il ragazzino che incontro sui moorpg il dialogo c’è, la porta è di vetro, o forse mi illudo che lo sia per non essere lasciato indietro, come quei sessantottini maledetti che si sentono gggiovani, attuali, si mischiano ai giovani veri e non si levano mai dalle cose? Dici che è giunta l’ora anche per noi 40enni di farsi da parte, anche se praticamente siamo stati messi da parte fin dalla nascita?

  2. dan.galvano

    Tutto vero, a parte il fatto che da trentenne il cambiamento enorme l’ho avvertito anch’io.
    Penso che la differenza tra 30enni e 40enni in questo non sia cosi’ evidente (magari la musica, ma questo è un altro discorso).
    Credo piuttosto che la differenza diventi abnorme con quelli nati da Italia ’90 in poi.
    Internet e telefonini per loro erano il pane quotidiano da bambini.
    Io le cabine telefoniche della SIP me le ricordo.

  3. Francesco

    32 anni e completamente d’accordo (anzi, credo che il centro della generazione sia la classe del 75).

    “Lo vedo ogni volta che ascolto una persona intelligente sopra i cinquant’anni parlare di Internet.”, con l’eccezione notevole di Stefano Rodotà, che da garante per la privacy mostrava sempre una comprensione “da dentro” delle tematiche della rete (mi stupiva ogni volta).

  4. pidario

    Difficile capire (ho 61 anni) senz’altro ma non impossibile direi e spero. E di grazia (per meglio capire o forse capire di non poter capire) cosa dicono gli ultracinquantenni di internet?

  5. Wizardo

    E’ una riflessione interessante, in cui mi ritrovo appieno. Passare dal gettone della sip all’ipad, attraverso commodore 64 e 8088 non si può spiegare a chi non ha vissuto la stessa trasformazione.
    Mi pare però che la nostra rivoluzione sia stata molto più individualistica delle precedenti, e in fondo anche più passiva. Tutti noi abbiamo condiviso molte delle cose vissute (pomeriggi atari anyone?), ma la tecnologia ha rappresentato uno shock esogeno, ed eravamo lì un po’ per caso, raramente qualcosa di più che semplici utilizzatori finali.

  6. nicolacolella

    vero, un po’ triste, ma vero.
    Triste, forse, perchè, in fondo, credevo che la nostra rivoluzione sarebbe stato ancora più violenta e più ‘epica’.
    Insomma, sono nato nel 1968, ho percorso ogni singolo gradino della scala digitale, dalle macchine da scrivere elettriche con schermo di un pollice a Google documents, dal gettone a FaceTime, dai modem con poggiacornetta al wifi, però, non posso dimenticare che nel 1977-78, tra Guerre Stellari e doctor Who, ero sicuro, assolutamente sicuro, che avrei viaggiato nello spazio (se non nel tempo).

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