Compitino

Che l’intervista di Jeremy Paxman della BBC al ministro Frattini ci sembri strana è facilmente spiegabile. Ma è anche strano.
È spiegabile perché Paxman – che non è stato particolarmente incalzante, come gli capita altre volte di essere – si è limitato a fare una cosa che da noi non si fa mai. Praticamente nessuno, praticamente mai. Che è chiedere conto agli intervistati delle cose che dicono. Gli intervistatori televisivi italiani non hanno nessuna duttilità: si preparano liste di domande, che possono essere più o meno intelligenti e più o meno scomode. Nella maggior parte dei casi lo sono poco, ma non è questo il punto: il punto è che anche a una domanda vagamente scomoda l’intervistato sa sottrarsi facilmente, probabilmente se l’aspetta, probabilmente si è costruito una qualche risposta elusiva di routine.
E a quel punto l’intervistatore – piuttosto che contestarla, prenderne spunto, vederne le incongruità – passa alla domanda successiva, come se pensasse “ok, io ci ho provato”.
Non è facile fare le interviste, non è facile fare televisione, non è facile essere intelligenti e televisivi insieme, non è facile ricordarsi tutte le domande preparate e tenere d’occhio i fogli dove sono scritte: e non è facile per niente fare queste cose con le pressioni “politiche” (“oddio, mi criticheranno per questa?”) di mandanti e pubblico, in un paese in cui ognuno viene giudicato venduto e pavido appena non soddisfa le nostre attese.
E però il modo giusto di fare le interviste è quello: in teoria, basta una domanda, la prima. In pratica, forse ne bastano cinque per farle diventare venti. Se no è un’interrogazione, con voto finale, a tutti e due.

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14 commenti su “Compitino

  1. Raffaele Birlini

    Sì, ma il rischio è che le domande siano finalizzare a ottenere la risposta che si desidera e che l’intervista si trasformi in interrogatorio. Se il giornalista ha il coltello fra i denti della militanza politica manda in vacca qyualunque tipo di intevista, che sia dialogante o formalizzata.

    Vediamo tutti i giorni servizi confezionati su misura al sostegno di un’opinione di parte. Vediamo tutti i giorni giornalisti raccontare i fatti da una prospettiva sfacciatamente schierata. Vediamo tutti i giorni il tentativo di orientare l’opione pubblica, e quindi le intenzioni di voto, ingigantendo e travisando alcune notizie e minimizzando o trascurandone altre. Vediamo tutti i gironi personalizzare sui media il confronto politico, rendendolo un police alto o pollice verso nei confronti di singoli individui.

    Ci manca solo che i nostri giornalisti militanti si convincano di dover martellare su una singola domanda fino a obbligare l’intervistato a dire quello che non vuole, o non può, o non deve dire. Tanto vale che insieme alla domanda il giornalista fornisca già anche la risposta, così facciamo prima. anzi, adesso che ci penso, molti giornalisti lo fanno, danno anche le risposte, se le inventano.

  2. Pingback: Giornalismo vero - Alberto Mucignat

  3. ro55ma

    Oltre a una certa pratica professionale meno “italiota” (di facciata, zerbinesca, militante) non abbiamo proprio l’abitudine all’utilizzo dell’intervista (fatta bene) per capire e farci un’idea del soggetto. Invece apprezziamo molto il giornalista schierato (quando la pensa come noi, ovviamente) che con le sue domande conferma le “risposte previste” (come dice anche R. Birlini) e quindi svolge la funzione per cui è stato mandato a fare l’intervista; forse è questa la differenza con i bravi giornalisti inglesi, loro (forse) non sono mandati a fare il compitino, da chi li paga.

  4. RicPol

    Mah, non saprei. Certo lo stile è incalzante e poco paludato, molto divertente. Ma in sostanza Frattini fa capire bene quello che intende: nessun paese della “alleanza” potrebbe ospitare Gheddafi, ma se lui trovasse un altro paese disposto a dargli asilo, alla fine tutti ne sarebbero sollevati.
    Frattini era molto chiaro, e tutte le saltellanti domande sembravano più tonte che scomode, in verità… come se il giornalista non riuscisse a capire l’ovvio.
    Ma il peggio sono le domande finali, totalmente squalificanti e fuori argomento, che mi rassicurano sul fatto che il giornalismo cialtrone non esiste solo da noi. “Lei è mai andato ai suoi party”, ma chettefrega?! stai parlando a un ministro degli esteri in una situazione di guerra, ricordi? riesci a tenere il tuo ego dentro i calzoni? Manco tu fossi Santoro!
    Secondo me a quel punto Frattini era in imbarazzo più per l’assurdità dell’intervista, che per l’argomento in sé.

  5. riccardo r

    Al giornalista bravo dovrebbe bastare una domanda, precisa, mirata, calibrata, spiazzante, originale, ineludibile.
    Mi ricordo di un’intervista di Biagi a Gheddafi: sebbene il ritmo fosse tutt’altro che incalzante e pressante, ogni singola domanda metteva in seria difficoltà l’intervistato.

    D’altra parte, se l’intervistato non risponde alla domanda, gli va rifatta magari rielaborata, e questo succede raramente.

  6. Urlo

    E’ quello che farebbe Marco Travaglio se gliene fosse data la possibilità o se i politici avessero il coraggio di sottoporsi alle sue eventuali interviste.

  7. ilbarbaro

    Qualcuno, qui, qualche tempo fa, ha scritto che i giornalisti italiani credono di essere intellettuali e sono inadeguati per entrambi i ruoli. A sentire un’intervista come quella di Paxman si capisce ancor meglio quanto avesse ragione e perché, in fondo, ci meritiamo Frattini.
    Ma ci meritiamo anche Ferrara, e Facci, e Rocca, e Minzolini e…
    Per cui questo post è davvero di una abissale ipocrisia.

  8. RicPol

    E oplà: lo *sapevo* che prima o poi qualcuno avrebbe tirato fuori dal cilindro un paragone con Travaglio. E il guaio è che non mi sembra del tutto fuori luogo.
    Direi che con questo il mio dubbio sull’intervista cialtrona di Paxman a Frattini è, se non confermato, almeno un po’ confortato.
    Luca, ma sei proprio sicuro che quello sia un buon esempio di metodo, da additare al giornalismo italiano?

  9. DB

    L’intervista ad un certo punto vira su Silvio Berlusconi, palesando una precedente preparazione della domanda.
    A mio avviso la virata è zoppa: per non dare l’impressione di voler saltare di palo in frasca, Paxman avrebbe potuto trovare un “raccordo” diverso, partendo dal verosimile imbarazzo che si potrebbe provare oggi per via dei buoni rapporti personali precedentemente intercorsi tra Berlusconi e Gheddafi. Ma non l’ha fatto perché era inutile chiedere al ministro Frattini un’informazione sui rapporti “personali” del presidente del consiglio italiano

  10. Pingback: Naaa, Franco non ha lo spessore… « Il cappello del giullare

  11. Elvetico

    Scusate, ma solo a me sembra che abbia dato le risposte evasive standard che un qualsiasi ministro in una situazione difficile darebbe a un intervistatore, incalzante o sottomesso che sia? Se poi vogliamo prenderlo per il culo perché non parla un inglese da Oxford, accomodiamoci, ma non è questo il punto mi pare.

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