Meno libri

Continuo a riflettere sul tema del ruolo dei libri e della sua compatibilità con le leggi del mercato, stimolato ulteriormente dalle cose che ha scritto Marco Cassini, che ho trovato interessanti e benintenzionate, ma in alcuni punti non del tutto chiare o un po’ elusive. Mi pare che contengano due distinte questioni: la dichiarazione di intenti di Cassini, e la sua richiesta di maggiore aiuto pubblico. Non so se si possa trovare un modo di farle convivere che soddisfi il bene comune come lo immaginavo qualche giorno fa, ma intanto espongo un po’ in disordine delle  cose che vorrei chiedergli.

Uno. Non ho capito. Vuoi pubblicare meno libri e sacrificare quelli meno belli, o pubblicare meno libri e sacrificare quelli che si vendono grazie a trucchi e facilitazioni pubblicitarie? Non è la stessa cosa

Due. Come tu stesso noti, mercato e lettori sono due modi di diverso suono per definire le stesse persone. E però lasci oscura la ragione per cui invece li pensi due cose diverse e ci costruisci un ragionamento sopra: questa ragione a me sembra sia una specie di pudore nel dichiarare che i lettori sono coloro che comprano libri che ti piacciono e il mercato coloro che comprano libri che non ti piacciono. Può anche andare bene, ma allora rendiamo palese l’intenzione pedagogica del lavoro degli editori e diciamo semplicemente che non devono più pubblicare libri che giudicano mediocri.

Tre. Però se gli editori fanno questo lavoro di selezione qualitativa – il loro lavoro originale – stiamo andando in senso inverso rispetto alla parola per tutti, la libertà di espressione totale, la disintermediazione. Anche questo dovremmo dirlo: l’editore vuole scegliere per il bene dei suoi lettori (e per il suo) e conservare un ruolo di mediazione culturale a cui si sente intitolato.

Quattro. In Italia non ci sono solo i perniciosi conflitti di interessi di Silvio Berlusconi. La più nota e longeva catena di librerie appartiene a un gruppo che è anche editore, grossista, libraio online, e a cui è riconosciuta una grande qualità dei libri che pubblica: e probabilmente senza quella catena il business e la diffusione dei libri in Italia perderebbero qualcosa. È giusto averli come complici, o sono irrimediabilmente schiavi del “mercato”?

Cinque. Ma la “decrescita editoriale” la si abbraccia per il bene del mondo e il proprio, perché pensiamo che sia giusta, per i libri che ci piacciono, o anche perché si pensa che alla lunga ne faccia vendere di più? Nel primo caso, andrebbe sottolineato che si propone un sacrificio economico: meno guadagni, meno soldi, meno posti di lavoro, meno autori, eccetera. Nel secondo la domanda è: se fare meno libri promette di farli meglio e venderli di più, come mai il “mercato” non se ne accorge e non promuove questa scelta? Perché si muove in altre direzioni?

Sei. E dei lettori che leggono solo i libri brutti che facciamo? Non gli diamo più niente?

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32 commenti su “Meno libri

  1. uqbal

    Il discorso andrà completamente reimpostato quando gli e-libri saranno un fenomeno di massa.

    Quando cioè sarà possibile pubblicare enormi quantità di testi indirizzandoli selettivamente senza neanche la fatica e il costo di spedire i tomi cartacei; quando si potrà sondare il mercato gestendo una marea di anticipazioni-sondaggio a costo quasi zero; quando la correzione di bozze potrà diventare wiki…e così via.

    Poi, se tutto il problema è la filiera editore-lettore troppo lunga, potrebbe tentare di accorciarla già da ora.

    Però effettivamente il mondo dell’editoria non è che lo conosca bene, pur essendo ben al di sopra della soglia che definisce il lettore “forte”…

  2. sombrero

    “E dei lettori che leggono solo i libri brutti che facciamo? Non gli diamo più niente?”

    Perché, quale sarebbe il problema? Cosa si perderebbe mai il mondo?
    Tu stesso, in un altro post, scrivi a proposito della chiusura di NOTW: “Detto con tutto il rispetto umano del mondo, ma sul piano professionale io credo non ce ne debba fregare di meno della fine dell’attività dei giornalisti del News of the World, né della chiusura di quel giornale, per cui adesso si dicono incazzati e indignati. […] Un giornale brutto e pieno di notizie irrilevanti, guardone, inaffidabili, terroristiche, non ha niente a che fare con la responsabilità e la qualità dell’informazione e del giornalismo: è un’attività commerciale come un’altra, con standard etici del tutto ordinari se non insufficienti, come produrre vino scadente, scrivere programmi tv mediocri, vendere borse firmate orrende. Tutte cose superlecite – ci mancherebbe – ma di cui non sentiremmo la mancanza”

    Quale sarebbe la differenza?

  3. yamau

    Il problema e’ parecchio spinoso. Io sono un addetto ai lavori occupandomi degli acquisti per una catena di librerie. Senza dubbio il problema posto da Cassini e’reale. Per sui diciamo che si pubblica male ( troppo e di incerta qualità’) e questo deriva dal fatto che l’editore A pubblica in modo da avere una visibilita’ superiore all’editore B,C, etc. Questa e’ la filosofia del tipo se metto un libro io impedisco che lo metti tu. Ancora va detto chiaramente che quella libraria e’ un industria che pur sventolando con minore o maggiore forza intenti ” culturali” non puo’ che rispondere a logiche di mercato per cui alla fine dei giochi i termini con cui ponderare il successo non sono certamente relativi alla sfera della cultura ( che so l’elevazione civile di una nazione) quanto alla sfera economica (fatturati,utili,dividendi). Insomma a me pare si predichi bene e si razzoli male. Anche perché e’ indubitabile che soprattutto in Italia i libri si vendono (peraltro molto poco, rispetto ai paesi piu’ avanzati,che peraltro ci avanzano sempre di piu’) spesso per motivi che sono altri dall’essere specifici della loro natura di essere libri (nel senso di essere una sequela di periodi stampati utili a informarci, divertirci, migliorarci anche a costo di un minimo di impegno e fatica).Dicevo i libri si vendono piuttosto per regalarli (io lo compro tanto lo legge un altro) per qualche trasmissione televisiva ( e allora si assiste a paradossali fenomeni per cui autori si vedono proiettati nei primi posti delle scarne classifiche di vendita ma spesso soltanto per pochi giorni successivi alla comparsata per ritornare invisibili nelle settimane successive) o per altri eventi (anniversari, scandali, decessi,etc.). O,infine per la ruota che gira e allora si indovina il megaseller che peraltro quasi sempre e’ un libro stampato in tirature iniziali piuttosto modeste e che per imperscrutabili motivi arriva a vendere cifre vicine o superiori al milione di copie ( Brown, Saviano, Giordano,la Meyer, la Parodi). Parlavo di libri venduti, ma il vero problema e’ quanti di questi saranno poi letti o almeno ci sara’ un tentativo di leggerli? Io credo che in questa domanda stia tutta la discussione sulle sorti del mercato ( tale non puo’ che essere, sia ben chiaro) del libro in Italia. Leggere e’ un esercizio che richiede attenzione, impegno e curiosita’, in un percorso lento e laborioso e credo che se non si troveranno strumenti (questa volta si culturali e sociali) per restituire al libro la sua vera natura e dignita’( piuttosto che pensare che la scorciatoia sia fare gli sconti, in fondo svilendone il valore e tutto sommato facendo pensare a chi li compra che se li si sconta cosi’ spesso come sta avvenendo sempre piu’ frequentemente forse potrebbero costare di meno gia’ in partenza, vero cari editori?) anche il mercato del libro sara’ destinato ad un ineluttabile declino.

  4. Shylock

    Ecco il secondo ‘addetto ai lavori’ in questo post che riesce a scrivere una lenzuolata in cui evita accuratamente di menzionare le parole-tabù ‘e-book’ o ‘libro elettronico’.
    Non si rendono conto che, cambiando radicalmente il modo di pubblicare i libri, dire ‘si pubblica troppo’ avrà lo stesso senso di ‘su internet si scrive troppo’, cioè nessuno?
    Che o cambiano il modo di concepire e fare il loro mestiere, o dovranno cambiar mestiere e basta?

  5. yamau

    @shylock. Carissimo, non ho menzionato gli e-book semplicemente perché siamo in una situazione di tale arretratezza che i problemi ora sono altri. Secondariamente quando veramente arriveranno,forse anche molto presto, si tratterà di una vera rivoluzione i cui esiti ,se hai la sfera di cristallo raccontaceli tu…..

  6. giova.p

    considerazioni sparse su mercati, tecnologia e libri..

    1) a me sembra che il grande assente di queste discussioni sia sempre il consumatore. qualsiasi intervento per tenere artificialmente alti i prezzi si ripercuote sul consumatore. questi comprerà meno libri, a prezzo maggiore. l’effetto di impedire gli sconti si traduce in meno libri venduti e letti. questo deve essere chiaro, e punto fermo della discussione.

    2) il voler stabilire quali sono i libri “giusti”, che istruiscano e facciano crescere il popolo bue è di un paternalismo che, davvero, anche basta. ammettiamo anche che si stabilisca d’imperio che alcuni libri/editori vadano aiutati per il bene comune e la crescita culturale della plebe ignorante. bene, chi li sceglie? per quale motivo e in base a quali doti superiori un politico, un garante, un ministero (guidato da bondi? ma per favore..) dovrebbe avere più acume nello scegliere questi fantomatici testi sacri del lettore stesso? peraltro questa logica applicata alla cultura ha prodotto, nel peggiore dei casi, letteratura di regime, e nel migliore soldi del contribuente usati per finanziare prodotti culturali mediocri degli amici degli amici.

    3) il mercato editoriale è difficile? vero, come tanti altri mercati in cui si gareggia e, a volte, si perde. di sicuro però non è un mercato con barriere all’entrata, ci sono (letteralmente) migliaia di editori, dall’offerta più disparata. non mi sembra sia il caso di invocare interventi distorsivi e lesivi del consumatore in nome della mancanza di libertà di espressione o del presunto obiettivo pedagogico dell’attività editoriale. sostanzialmente chiunque voglia pubblicare qualcosa in questo paese può farlo.

    4) la distribuzione è monopolizzata dai grandi gruppi? questo crea comportamenti collusivi/anti-concorrenziali? è tutto da dimostrare e non entro nel merito perché questione eccessivamente tecnica. registro solo il comportamento dei danneggiati dal (presunto) comportamento anti-concorrenziale: invece di invocare più concorrenza e più mercato, si sono battuti per un ulteriore restringimento del mercato per proteggere il proprio orticello (legge sugli sconti), alla faccia di chi i libri deve comprarli. dispiace non solo e non tanto la mancanza di coerenza, quanto l’aver indorato la pillola con il paternalismo (“lo facciamo per il vostro bene”) indirizzato ai consumatori i quali, come al solito, lo prendono in quel posto.

    5) anche per quanto riguarda l’atteggiamento verso la tecnologia, a me sembra che il comportamento degli editori sia estremamente miope e incoerente. le nuove tecnologie applicate all’editoria permetteranno di abbattere i costi e di aumentare l’offerta editoriale in modi che probabilmente ancora non immaginiamo. come sta accadendo nella musica, ci sarà sempre più facilità di accedere al mercato, di auto-prodursi, di auto-promuoversi. la disintermediazione e via dicendo. ci sarà ancora posto per gli editori? probabilmente sì, anche se non nelle forme tradizionali. nasceranno nuovi ruoli e professioni nel settore editoriale/culturale, e altri diventeranno inutili. è un male? probabilmente sì, per chi di mestiere fa qualcosa che viene soppiantato dalla nuova tecnologia e diventa inutile, e non ha voglia di buttarsi in qualcosa di nuovo. ma sarà un bene per tutti gli altri. invece di buttarsi sulle nuove tecnologie, di inventarsi modi nuovi per creare, distribuire e vendere buoni libri, l’unica cosa che viene in mente agli editori in italia è (di nuovo) chiedere aiuto allo stato per arginare (inutilmente) la marea. se qualcuno ha dato un’occhiata a quello che è successo e sta succedendo al mercato discografico può farsi un’idea di quello che succederà (spero) presto nell’editoria, e soprattutto di quanto inutili siano gli sforzi di chi vuole mantenere uno status quo anacronistico: tecnologia e mercati vanno avanti, e creano spesso cose positive per il consumatore. quanta musica in più si crea/produce/conosce/ascolta/vende grazie alle nuove tecnologie? moltissima, la tecnologia ha eliminato barriere e fatto saltare steccati. ci saranno molti meno monopoli e meno superstar da ingaggi miliardari (gli unici che le case discografiche tradizionali possono permettersi di supportare), ma ci sarà (c’è già) molta più musica creata, suonata, fruita e venduta, e a prezzi più bassi. succederà lo stesso per i libri? io lo spero, e tante cose si stanno (per fortuna) già muovendo in questo senso. ci si può opporre? forse sì, temporaneamente, ma imho i risultati saranno solo di posticipare l’inevitabile, e di sprecare tempo che invece potrebbe essere usato per imparare a fare le cose in modo nuovo..

  7. Pingback: La cultura è un prodotto, trattiamola come tale « La Golpe et il Lione

  8. Shylock

    @yamau. Egregio, nella tua arguta replica colgo una punta di sicumera, con un sottile retrogusto di spocchia, eppur non m’adonto. Sai perché? Perché non è il mio business che rischia di fare la fine dei videonoleggi, o dei jukebox.
    Come vedi, su un francobollo ci sono stato e mi è pure avanzato spazio.
    P.S. “poi magari c’e lo racconti”. Meno male che non fai l’editor.

  9. yamau

    @ shylock. A parte il commento sull’editor ( l’errore e’ frutto della correzione automatica dell’ipad, prova se non ci credi) non mi pare ci sia alcuna spocchia e mi pare che il tuo francobollo non dica niente semplicemente continua a predire la distruzione del libro cartaceo (sara’ nel 2012 come da profezia maya?).Potrebbe anche essere ma rispetto ai video e alla musica,non so se la sfera te lo ha spiegato, che sono fruiti passivamente ( anche tu magari riesci ad ascoltare che so i pooh e a svolgere una qualche altra attivita’) la lettura su un device richiede che si faccia attivamente e questo rende tutto meno scontato. E scusa il sarcasmo se non ti piacciono i Pooh. Per quanto riguarda,infine il mio business ( Moretti, inteso il regista, ti chiederebbe conto di come parli) faro’ questo mestiere che mi piace, se finirà faro’ qualcos’altro.
    P.s. Comunque non hai capito un cazzo del mio discorso.

  10. paolo zerbinati

    Mi pare che commentiate molto da parte di autori, editori, mercato, parlando di quel che pensano i lettori, per gli altri. Io sono un lettore.
    Come ho sentito dire una volta alla presentazione di 54, da Roberto Bui, ‘ecco il lettore e la lettoressa’.
    Cosa cerco e non trovo? Cosa trovo e non voglio? Non voglio libri troppo pesanti, non me li posso portare dietro e da leggere a letto sono faticosi. Non voglio tascabili con caratteri troppo piccoli e compressi, mi innervosiscono. Non leggo più da tempo libri da cinquine dei premi, libri molto pubblicizzati, libri nel favore dei critici, disprezzo fortemente le faziosità di quarta di copertina. I libri nuovi non mi fido, aspetto mesi prima di vedere se possono essere interessanti. Leggo sopratutto libri di qualche anno, li compro anche usati. Non è l’euro in più o in meno che fa la differenza, ma il godimento in più o in meno. Se me la godo pago volentieri, se no anche solo perdere del tempo a leggere qualcosa che non mi piace gratis è un costo troppo alto. Non ho tempo, tra lavoro, famiglia e tutto il resto, e quel poco che ho lo voglio usare
    bene. Poi l’ho notato: le librerie, sopratutto quelle delle grandi catene sono piene della spazzatura del momento. Meritano solo la raccolta differenziata. Mi fermo qua, poi mi annoio da solo, che diventa il mio commento troppo lungo. Buona domenica.

  11. Shylock

    @yamau. Il tuo È un business e come tale lo difendi, checché ti periti di nobilitarlo come ‘miglioramento’ del genere umano attraverso ‘un percorso lento e laborioso’: ma chi ti credi, il Maestro Miyagi?
    Tiratela di meno: te lo dice uno che in casa ha decine di metri lineari di libri cartacei (e non sono biografie dei Pooh) ma nelle librerie italiane, per formazione e interessi, non compra quasi più da un pezzo; se quelli che le riforniscono ragionano come te, direi che non mi sono perso molto e nemmeno li rimpiangerò.
    “La lettura su un device richiede che si faccia attivamente”, mbé? Anche guardare un film richiede una certa soglia di attenzione, un videogame anche di più: in entrambi in casi il feticismo del supporto (ché quello stai difendendo, e non altro) non ha retto all’evoluzione tecnologica; non si vede perché dovrebbe andare diversamente per il libro, persino in un Paese culturalmente e tecnologicamente arretrato come l’Italia.
    Rassegnati: tra un po’ non potrai più decidere tu cosa si scrive e si mette sul mercato e cosa si legge, esattamente come altri, più grossi e cazzuti di te, non possono già più decidere cosa si suona e si mette sul mercato e cosa si ascolta.
    Ma senza rancore, eh? Anzi, se ti vedo tra lo stand della Lambretta e la bancarella dei dischi in vinile, alla prossima fiera del vintage, mi fermo anche da te.
    Nel frattempo mi pregusto il più grande mercato dei libri all’aperto d’Europa: 6km, 878 bancarelle, neanche uno yamau che pretenda d’insegnarmi a leggere.
    Buone vacanze anche a te.
    P.S. Grazie per la dritta sull’iPad. Correttori ortografici cervellotici ne ho incontrati parecchi, ma un ‘device’ (ma come parli?) che spezza arbitrariamente una parola di sole due lettere, per formare un nesso avverbio-verbo senza neppure accentarlo come si deve, ancora mi mancava: a questo punto mi tengo il mio telefonino sgrauso senza T9, che mi costa una quindicina di volte di meno.

  12. Steve Romano

    @Shylock:

    checché ti periti

    Visto che fai il contropelo allo scrivere altrui, prendi il vocabolario d’italiano (anche un e-dictionary va bene) e impara il significato di “checché” e di “peritarsi”.

  13. Shylock

    @Steve, io se non si fosse capito stavo facendo apposta l’ampolloso, comunque se lascio per strada un ‘non’ prima di ‘periti’ (checché sarà anche ellittico, in questo caso, ma secondo me ci sta) lo dico, non do la colpa all’iPad, come se la barra spaziatrice e l’invio non li pigiassi io.
    Sul contenuto non hai niente da eccepire?

  14. sombrero

    @uqbal:
    francamente ne dubito, ma non mi pare di aver proposto la loro abolizione per legge. Mi chiedevo semplicemente quale danno subirebbe il mondo se un Moccia o una Tamaro non arrivassero nelle librerie.
    Ma piuttosto che prendertela con me, dillo a Sofri il quale esprime esattamente lo stesso concetto solo applicato a settori diversi. Avanti, segui il tuo grande istinto iperdemocratico e trattaci alla stessa stregua.

  15. matilde

    @ Shylock
    Standing ovation.
    Sopratutto riguardo al ” feticismo del supporto “.
    E meno male che nessuno ha voluto tirare fuori l’irritante mito ottocentesco del “profumo della carta”
    ;
    @ yamau e fans
    Chiunque usi termini come “megaseller” non può permettersi MAI di stigmatizzarne, a nessuno, l’utilizzo di uno di lunghissimo corso come “business”.
    Men che meno scomodando Moretti.

  16. ribio

    chi preferisce usare il suo device e servirsi da amazon o ibs ed è contento lo faccia. chi preferisce il libro con le pagine da sfogliare e ‘l’irritante mito del profumo del libro’ (non della carta, matilde)ha pieno diritto di farlo e dirlo. Come chi è tornato a comprare il vinile. Per qualcuno di voi è feticismo, per lui no. chi ha ragione? nessuno e tutti. quante menate inutili. Il vero problema rimane quello del mercato e di chi lo governa (i grandi gruppi editoriali). sopra le teste dei bravi librai (ancora ce ne sono) che in questo mestiere ci hanno messo la vita. e sopra la testa dei lettori. Che poco ci capiscono perché di questo mondo ne fanno parte come clienti ultimi (azz, stavo scrivendo utilizzatori finali) e non sanno bene di cosa è fatto. Cultura, anche, ma soprattutto, purtroppo, il solito profitto. Non che non sia giusto puntare al profitto ma si dovrebbe tenere conto anche delle persone che tutte intorno ci lavorano, ci vivono.
    E così non è. Mondo di squali e lupi anche quello editoriale. Fa specie che il nostro buyer yamau non se ne sia ancora accorto. Forse, giovane yamau sei troppo impegnato a costruirti la carriera (legittimo). Forse. Infine caro Luca Sofri credo tu abbia bisogno di parlare con un po’ di librai indipendenti. Non andare solo alle feltrinelli. Lo so, dirai che non è vero, che conosci tanti bravi librai. Allora , però non si capisce come non tu non abbia ancora capito un po’ di cose. Con simpatia. ps: rileggo e mi rendo conto di non essere entrato nel merito del post iniziale. vorrei poterlo fare. domani forse.

  17. Shylock

    @matilde. Grazie, pero’ gli applausi vanno alla realta’, non a me che ne sono il modesto cantore:

    Borders was unable to overcome competition from larger rival Barnes & Noble Inc (BKS.N) and from Amazon.com Inc (AMZN.O), which began to dominate book retail when the industry shifted largely online. Borders, for which online sales represented only a small fraction of revenue, never caught up to its rivals’ e-reader sales, namely Amazon’s Kindle and Barnes & Noble’s Nook.
    […]
    While competitors responded to consumers’ growing preference for online business and electronic device-based entertainment, Borders remained mainly a brick-and-mortar operation.
    “They were like the dinosaur that saw the ice coming but didn’t think it was going to hit them,” Schuyler Carroll, a bankruptcy attorney at Perkins Coie LLP, told Reuters Monday.

    http://www.reuters.com/article/2011/07/18/borders-liquidation-idUSN1E76H1LQ20110718

    Adesso mi aspetto che torni yamau a scandire ‘sciagura a voi, sciagura a voi’ (a proposito di Era Glaciale).

  18. Piero

    @Shylock
    Mi fa molto piacere che dopo aver monopolizzato con acrimonia il dibattito, citi un sito inglese.
    In effetti, da traduttore, ho vissuto per anni di parassitismo (nella tua ottica), mediando contenuti culturali a cui tutti, giustamente dovrebbero poter accedere direttamente o comunque con un lauto sconto da parte della megalibreria del caso. Chiaro, perché io lo faccio per puro godimento personale, non ho bisogno di pagare le bollette (con i lauti proventi delle traduzioni in Italia!).
    Volevo ricordare ai patiti degli e-book che esiste da decenni un progetto meraviglioso che si chiama Project Gutenberg. Lì trovate migliaia e-book per tutti i gusti. Be’ sì, solo in inglese o tedesco ecc. Anche la Bibliotheque Nationale Française offre da anni moltissimi classici in edizione originale… elettronica. Come? Li avete scaricati? Ma mai letti? Non padroneggiate così bene il francese del seicento? Ah, capisco.
    Quanto agli e-book, qualcuno vuole spiegarmi come si fa a impedire che dopodomani un e-book sia scaricabile con e-mule o quel che si usa adesso?
    Forse si potrebbe fare come con i DVD? Ci vuole alta tecnologia? Che magari solo la Walt Disney si può permettere? Allora l’e-book non è poi così democratico? Mentre per fare un libro cartaceo bastano un PC e una testa pensante?
    E infine, una modesta proposta. Per ogni megaseller, un centesimo sul prezzo del libro vada al Servizio Bibliotecario Nazionale (non a quelle “sanguisughe” dei piccoli editori, come ha detto qualcuno in questo forum, senza che nessuno lo contraddisse). Così potrà comprare più libri di carta per le biblioteche, quei posti puzzosi e polverosi… dove si studia (ancora) e magari si imparano le lingue per tradurre quello che anche i non anglofoni, germanofoni e francofoni avrebbero diritto di poter leggere, in italiano (lingua superminoritaria, lo ricordate???).
    O dobbiamo rimanere a quello che ci passa mamma tv?
    Ah, a proposito: vorrei sapere se chi spara a zero contro gli editori cartacei ha un lavoro fisso ed entrate assicurate. Perché quelle sanguisughe degli editori, dei traduttori e dei redattori e dei librai indipendenti… spesso non ce l’hanno. Ci ritroveremo tutti fra la Lambretta e i dischi di vinile, che ne dici Shylock?

  19. Shylock

    @Piero, ‘parassiti’ non sono certo i traduttori, specie quelli bravi, bensì quelli che si frappongono tra me e i contenuti di cui vorrei fruire, senza fornirmi alcun valore aggiunto che io apprezzi. Comunque, ti smonto subito l’argomento ad hominem: mi fanno così schifo i traduttori che ne ho sposato una, che lavora (grazie ad internet) quasi solo con clienti esteri perché mediamente sono più seri, pagano meglio e soprattutto con puntualità, mentre gli italiani preferiscono (grazie ad internet) traduzioni approssimative fatte dal primo che passa e ha meno pretese.
    Come vedi, la tecnologia è uno stumento: ti permette di scegliere il meglio o il peggio, come preferisci; quello che non puoi fare è far finta che non esista, o peggio ancora cercare di bloccarla.
    Il DRM, alla fine, è più che altro una rottura per chi il contenuto l’ha comprato regolamente e non può fruirne come gli pare, mentre chi vuole violarlo trova gli strumenti per farlo.
    Ah, quella della ‘democraticità’ del libro cartaceo, scusa tanto, è una puttanata cosmica: PC e testa pensante ti bastano solo per scrivere, o per distribuire in formato elettronico, appunto; certo, da indipendente farai più fatica a farti conoscere, ma stampare (decentemente) un libro e soprattutto distribuirlo costa infinitamente di più.
    P.S. Io con le lingue modestamente m’arrangio e Project Gutenberg e simili li bazzico da tempo: ci scarico quel che nelle librerie non trovo o che mi è più utile in formato elettronico; non sempre lo leggo, come non ho letto tutti i libri di carta né portato tutti i vestiti che possiedo, ‘mbé?

  20. Piero

    Ho cominciato a fare libri nel 1988, con un PC e basta (la testa pensante non c’era, solo molto entusiasmo).
    Per fare un e-book (non copiabile? e con cosa paghiamo l’autore se no? vogliamo solo autori dilettanti?), bisogna contare su un mercato di decine di migliaia di utenti, visto il prezzo che si può pretendere per un e-book in italiano oggi. Quindi il mercato dell’e-book italiano è fuffa, tranne che per gli editori molto grossi che hanno tantissimi titoli in catalogo.
    Quanto ai buoni libri / cattivi libri, che è l’oggetto del dibattito, mi pare chiaro che il mercato non è un criterio per distinguere tra buoni libri e cattivi libri. Anzi il mercato chiede solo quantità, a scapito della qualità. Quindi, signori miei, ve lo scrivo in maiuscolo: QUANDO SI TRATTA DI CULTURA, IL MERCATO VA CORRETTO.
    Se poi uno vuole essere colonizzato culturalmente da americani, inglesi, tedeschi, cinesi… be’ questo si chiama semplicemente spostare il problema.

  21. Shylock

    @Piero, continui a rifare una domanda di cui sai già la risposta, se sei abbastanza sveglio: il testo digitale non copiabile, esattamente come la musica digitale non copiabile, NON ESISTE.
    Se gli intermediari lo capiranno e si adegueranno in modo intelligente, potranno sopravvivere, sennò verranno spazzati via da quel mercato che tanto schifi, ma che è quello (quello dei Moccia, dei Camilleri, etc.) che ti paga le bollette; proprio per quello, sono gli unici autori del cui compenso agli editori interessi veramente, visto che hanno potere contrattuale.
    Infine, non lo decidiamo né io né te se verremo colonizzati, culturalmente o in altri campi. E se confronto la qualità e la varietà della produzione letteraria in inglese con quell’asfittico e pretenzioso cortiletto nostrano che si riempie la bocca col New Italian Epic (sono già colonizzati dentro eppur se la tirano, ah quanto se la tirano), direi che non avrò molti rimpianti e, nel mio piccolo, mi sto già adeguando.

  22. Piero

    Alla fine, il discorso è sempre questo: io comunque so l’inglese, c’ho Kindle, uso Amazon, so’ fico, ho studiato alla Bocconi, alla Ivy League, a Oxbridge, ho fatto le elementari a Eton. “Perché? Perché io so’ io, e voi non siete un cazzo”.
    Chi si oppone agli sconti, alla grande distribuzione, alla tutela dei piccoli editori, si dimostra, alla fin fine, di un elitario pazzesco. Perché la regolamentazione del mercato, degli sconti sfrenati, in realtà, non penalizza il grande pubblico: penalizza chi cerca di andare contro corrente, di opporre qualche alternativa a “quell’asfittico e pretenzioso cortiletto nostrano” che finisce per girare sempre intorno allo Strega, al Campiello, a Bruno Vespa e via dicendo.

  23. Shylock

    @Piero, alla fine non si capisce cosa vuoi, o meglio si capisce benissimo: ‘correggere il mercato’, tradotto in italiano, vuol dire blindare il tuo ruolo (e la tua rendita) in esso.
    Alla fine, il tuo e’ luddismo da latifondista, condito di paternalismo per gli autorelli/peones, che poverelli come farebbero senza di te che vegli su di loro. Ti piacerebbe tanto, che fossero costretti a continuare a lavorare a mezzadria per te, invece di mettersi in proprio e portare la loro merce al mercato col furgoncino elettronico. Ecco, tutti questi furgoncini che vanno e vengono non si sa dove, non si potrebbe vietarli, o almeno costringerli a consegnare ai mercati generali cosi’ poi vendi tu ai prezzi che decidi tu?
    E poi l’elitario sarei io?
    E quello che difende la Qualita’ saresti tu? Tu che o ti garantiscono xmila copie vendute o manco ti sporchi le mani a pubblicarli, persino gli ebook dove la milionesima copia distribuita costa praticamente quanto la prima?
    Non ci stai dentro? A parte che non ne sono convinto, non te l’ha mica ordinato il dottore di fare l’editore, come nella storia della letteratura ci sono fior di autori che facevano la fame, o pagavano le bollette facendo un altro mestiere. O che son passati direttamente dal cassetto alle antologie, senza che nessun genio di editore li pubblicasse in vita.

  24. matilde

    Piero vuole solo un simil FUS per il suo settore.
    Vuole che lo stato obblighi le mandrie di bifolchi che si ingrassano con “mamma Tv” o leggendo libercoli che lui non considera degni del suo livello di istruzione.
    Disprezza quindi il 95% dei suoi concittadini (forse il 98% perchè mi sa che sia uno di quelli per cui la Cultura è solo quella umanistica) però pretende, Ope Legis, i loro soldi.
    Che sia l’ennesima accise sui carburanti o uno 0,5% di addizionale Irpef, son solo secondari dettagli tecnici.
    C’è invece chi pensa che se il suo settore va male, Lui e colleghi, comincino a sbattersi e/o soffrire e/o riciclarsi e/o arrangiarsi.
    Esattamente come abbiamo fatto in tanti di quel famoso 95%.

  25. Piero

    @matilde

    Mi dispiace deluderti ma per me la cultura non è solo umanistica, hai sparato alla cieca e mancato il bersaglio proprio alla grande. i miei primi libri nel 1988 erano sulla radioastronomia, la radiazione di fondo a microonde, i raggi cosmici e altri argomenti assai poco umanistici.

    Il discorso editoria si applica anche a quella scientifica (in italia il mensile di divulgazione scientifica più venduto è Focus, questo dice tutto).

    Marina Berlusconi, paròn di Mondadori-Electa si vanta di contribuire alla cultura italiana anzi all’editoria di qualità perché ha fatto 5 edizioni straniere di Grazia prendendo i contributi dallo stato, promette di farne 30 nei prossimi anni. Questo sì che si chiama portare la cultura italiana nel mondo.

    Tanto a lei 560 milioni di meno fanno il solletico.

    Guarda che non è il settore che va male, sono solo gli indipendenti (che DEVONO fare libri di qualità, per sopravvivere) che subiscono la crisi del settore. I grandi si possono permettere benissimo di fare boiate, tanto quel che conta è il numero di novità.

    Dunque a te questo stato di cose va bene?

    Il FUS ha garantito gli enti lirici (a loro va il 47,5%), che sono uno dei patrimoni culturali del nostro paese. Se poi pensi che il teatro sia una schifezza se non è povero, vedi tu. Guarda un po’ gli altri paesi poi sappimi dire.

    Io ho proposto una cosa molto più semplice, se leggi il mio post di prima (ma forse non hai avuto il tempo): che vengano foraggiate le biblioteche per l’acquisto di nuovi libri e attrezzature, tassando i proventi dei libri più commerciali. Ti sembra una misura statalista? 1% di un libro che costa 20 euro fa 20 centesimi, moltiplica per 100mila sono 20mila euro per ogni libro di Bruno Vespa (almeno).

    Tu dici
    “Lui e colleghi, comincino a sbattersi e/o soffrire e/o riciclarsi e/o arrangiarsi”

    Ma questo non era un forum sull’editoria e sulla qualità dei libri? E’ diventato uno scambio di insulti e maledizioni? Se il dibattito non sa essere costruttivo (io un’idea l’ho messa sul piatto) allora per me finisce qui. Complimenti e auguri.

  26. matilde

    @ Piero
    tesoro, la tua disonestà intellettuale è decisamente stucchevole.
    ,
    1)
    Riporti un mio virgolettato ravvisandovi degli INSULTI che palesemente non sussistono nei 4 verbi da me utilizzati.
    Come chiunque abbia almeno la media inferiore può facilmente verificare.
    Quello di agitarsi per presunti insulti è’ uno trucchetto meschino molto usato in Radio da Aldo Forbice per la captatio benevolentiae dei suoi commentatori prima di aggredire verbalmente certi ascoltatori che osano criticarlo dopo aver eluso la censura dei filtri della redazione di Zapping.
    2)
    Non ci sono nemmeno MALEDIZIONI.
    Era solo un invito (lampante, nella frase successiva che hai omesso) ad affrontare le avversità allo stesso modo di tante altre categorie professionali (assolutamente non meno degne della tua).
    Senza pretendere aiuti pubblici di nessun tipo, ostentatando l’abusato auto-nobilitante sostantivo “cultura”.
    3)
    “QUANDO SI TRATTA DI CULTURA, IL MERCATO VA CORRETTO”
    “Marina Berlusconi, paròn di Mondadori-Electa” (paron ??? Ma i dialetti non dovrebbero contemplare le differenze di genere)
    Quindi,
    il mercato ti ba bene solo quando ti fa pagare le famose bollette.
    Sui padroni del vapore, poi, non hai nulla da ridire finchè ti permettono di far parte della filiera.
    Quando si accorgono di poter fare a meno di te, diventano spregevoli e devono essere combattuti dall’elite degli ACCULTURATI, nuovi irrinunciabili soggetti beneficiari dell’assistenzialismo di Stato.
    4)
    Dici “Ma questo non era un forum sull’editoria e sulla qualità dei libri?”.
    Appunto.
    Infatti io, rimanendo molto ON TOPIC, ho commentato la 3a riga del post di Sofri riguardante la “richiesta di maggiore aiuto pubblico”.
    E ho citato il FUS solo come paragone.
    Tu ne hai preso spunto per un gran pippone sui mantenuti della lirica.
    Pippone al quale,
    rispondo AVVISANDO anticipatamente DELL’OFF TOPIC.
    Se nel 21° secolo, alla stragrande maggioranza degli italiani, della lirica interessa, al più, il tradizionale lancio di uova autunnale alle impellicciate della Prima alla Scala, bisognerà iniziare a farsene una ragione.
    Insistere ad usare risorse pubbliche per tenere in vita il troppo capillarmente diffuso sul territorio carozzone del “bel canto”, non può che suscitare antipatia verso i suoi troppi interpreti.
    All’estero con questi eventi si cimentano meno teatri che mettono in cartellone, durante ogni stagione, più spettacoli di maggiore qualità.
    Ottimizzanzo le risorse messe a disposizione da una legittima, ma limitata, richiesta di nicchia (ripeto siamo nel 2011).
    Rendendone sostenibile la coesistenza con un doveroso e realistico rispetto dei conti economici.
    Per quanto
    ad alcuni possa sembrare strano l’Italia del 2011 richiede meno tenori, sarte e costumisti di quella del 1890.
    Servirebbero invece (lo ricordo ancora, oggi, nel 2011) più ingegneri, fisici, chimici, informatici, ecc.
    Sopratutto,
    non ci sarebbe bisogno di tanti miserevoli khomeinisti, Titolari Inconfutabili della Vera Cultura Di Qualità.
    Che ci dicano cosa leggere e se farlo su carta o su schermo.
    Se guardare la TV o andare ad assistere al Rigoletto o alla Traviata.
    E che ci considerino dei decerebrati se optiamo diversamente da quelli che non sempre sono gusti più raffinati, ma, spesso, solo biechi interessi di bottega.
    Ecco, si.
    Queste ultime righe avevano prorio il deliberato intento di risultare un pochino insultanti nei confronti di una certa vezzosa sicumera.

  27. Piero

    “i furgoncini che vanno e vengono non si sa dove”
    Sì al di là di qualsiasi inesistente confutazione, questa è l’unica cosa carina e divertente che sia venuta fuori da questo thread.
    A proposito, quando capita, provate a leggere le proposte degli altri prima di accusarli di “disonestà intellettuale decisamente stucchevole”.
    Io ho parlato di:
    – cosa significhi portare la cultura italiana nel mondo (con Grazia???) e venire premiati con contributi statali (come accade attualmente)
    – tassare i proventi dei libri più commerciali (quantificabilissimo, senza bisogno di istituire una commissione di mandarini)
    – finanziare le biblioteche pubbliche (la cultura fuori dal mercato! prima di internet! orrore!)
    – tutelare gli editori indipendenti (che DEVONO fare libri di qualità, per sopravvivere) e che sono i primi a subire la crisi del settore.
    Su questi argomenti chiave, nessuna replica. Mancano idee?

    Riguardo ai piccoli editori, consiglio a tutti quelli che sono scettici di farsi un giro fra gli stand di Più libri più liberi, a dicembre a Roma, e considerare se quei piccoli editori cartacei italiani (che raramente si troveranno nei megastore delle grandi catene!) siano veramente quei parassiti inutili che vengono dipinti qui. Lì potranno guardare, toccare, sfogliare, valutare, comprare solo se saranno convinti. Questo è quello che si fa con i libri, in quelle tane zozze, da suburra, che sono le piccole librerie indipendenti. Invece di frequentare gli asettici portali online, o scaricare i pdf direttamente dai furgoncini che vanno e vengono non si sa dove…
    Tutti argomenti “khomeinisti”, come si vede.

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