Nei giorni dopo la morte di Amy Winehouse molti giornali e tv americane hanno pubblicato riflessioni su rockstar e personaggi dello spettacolo che hanno avuto problemi con l’alcool o le droghe, ed è stato spesso citato il nome di Robert Downey jr. Che c’entra assai più dei molti che casualmente sono morti a 27 anni, benché la “maledizione dei 27” abbia trovato grandi eccitazioni sui media. Robert Downey jr. ha avuto simili prolungati casini, e abbastanza contemporanei a quelli di Amy Winehouse: ma per ragioni e variabili non paragonabili, lui a un certo punto ha smesso di scappare dalle cliniche e si è rimesso in sesto, rilanciando tra l’altro la sua carriera, sebbene con ruoli un po’ più ordinari di quelli che lo avevano reso famoso.
Ma l’analogia che mi ha messo in testa da giorni una canzone non è quella sui rapporti con le cliniche: è proprio roba di canzoni. Robert Downey jr. è infatti, come era Amy Winehouse, un cantante: anche se non lo sanno in molti e i suoi impegni di attore sono assai più intensi. Ha cantato le canzoni di diverse colonne sonore, e soprattutto ha fatto un disco nel 2004, The futurist: che era, credeteci, molto bello e quasi tutto di canzoni sue. Con l’eccezione di una cover degli Yes (con comparsata di Jon Anderson degli Yes) e della sua versione di “Smile” di Charlie Chaplin, registrata per il film biografico di cui Downey fu protagonista. E così, per via della triste storia di Amy Winehouse, ho in testa da giorni una canzone che dice “Sorridi, anche se hai il cuore a pezzi”.
Smile
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