Il terzo degli America

All’università a Londra erano in tre, figli di militari americani di stanza in Inghilterra: il primo disco e la canzone più famosa – si chiamava “Un cavallo senza nome” – li incisero lì, poi se ne tornarono negli Stati Uniti, dove spopolarono ancora per un po’ per tutti gli anni Settanta. Furono la faccia un po’ melensa del rock ribelle degli anni Settanta, più pulitini degli altri e con un nome ambizioso e dissacrante insieme – “America”, scelto quando erano a Londra – ma di una la melensaggine che conosceva bravure. Poi uno di loro mollò e si convertì al cristianesimo e alla musica religiosa, e gli altri due trascinarono ancora qualche successo negli anni Ottanta con dischi piuttosto noiosi. Quell’uno si chiamava Dan Peek, ed è morto lo scorso 24 luglio a sessant’anni nella sua casa nel Missouri, mettendo così fine anche alle annose e mai interrotte richieste dei giornalisti su una possibile riunione del trio. E come si fa in questi casi, ho ritirato fuori i vecchi vinili degli America, comprati a tremila lire quando ero al liceo ed eravamo tutti un po’ melensi e un po’ ribelli e ci mettevamo le spillette, e ho ascoltato “A horse with no name” e “Sister Golden hair” (gli mp3, però), e mi sono chiesto se ci fossero riflessioni da fare e ho pensato che sì, ma tutte banali.

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2 commenti su “Il terzo degli America

  1. v.s.gaudio

    DAN PEEK DALL’AMERICA

    Mi portavano dagherrotipi
    di antichi pionieri da ingrandire.
    E talvolta qualcuno posava per me-
    come Dan Peek degli America che era vissuto quando mani
    gigantesche tirarono fuori la repubblica dal grembo del mondo.
    Che cosa c’era nei suoi occhi?-
    Così non riuscii mai a penetrare
    quella mistica commozione di palpebre abbassate
    e il sereno dolore dei suoi occhi e degli altri due dell’America.
    Io ero come un piccolo lago,
    anche negli anni Settanta tra le querce ai confini
    della foresta, dove cadono le foglie,
    mentre ascolti il canto del gallo
    lontano da Torino, là vicino alla Val Locana
    dove viveva la quinta generazione dei calderai,
    e gli uomini forti e le donne forti se ne sono andati
    e sono arrivati questi America
    e poi i nipoti e i pronipoti dei pionieri,
    in verità la mia macchina fotografica era senza
    pellicola come quella di Silvia Zangheri al Reading
    “Lebenswelt und Stimmung” a Bologna
    con tutta quell’antica forza, un po’ indiana,
    che avevo e che se n’è andata
    e l’antico coraggio, andato, e gli America,andati
    che razza di fatiche e amori e sofferenze e canti
    andati e dimenticati.

    (da: “Se fosse l’Antologia di chi cazzo erano gli America?”)

  2. sergio62

    Ma in verità ogni loro canzone , anche la sdolcinata “Muskrat love ” , era un capolavoro . Le loro melodie westcoastiane ebbero il pregio di distrarre una generazione dall’ incubo Vietnam e da quello del terrorismo .E il fatto che a distanza di 30-40 anni le loro canzoni siano ancora tra le più scaricate sul web la dice lunga. Invidio l’ amica di una mia amica che all’ ultimo concerto romano di un mese fa ha avuto il privilegio di suonare con loro sul palco.

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