Mentre cercavo in rete cose su Jannacci, per via dello speciale di Che tempo che fa su di lui, ho trovato questa cosa che avevo raccontato una volta, e di cui mi ero dimenticato.
Ho fatto una riflessione, quando ho cominciato a scrivere il mio libro durante un’estate. Ero lì da solo in una gradevole casa al mare, ma seduto ad una scrivania rivolta verso il muro con le cuffie in testa, in una situazione abbastanza alienante quindi; sentivo una grande quantità di canzoni e spesso mi commuovevo ascoltando dei brani. Mi ricordo addirittura di essermi ritrovato con le lacrime agli occhi ascoltando “La fotografia” di Jannacci, canzone che avevo ascoltato un miliardo di altre volte e non mi aveva mai nemmeno appassionato tra le sue canzoni. La musica con le cuffie ha una differenza di cui non teniamo nemmeno troppo spesso conto, non rispetto alla qualità ma rispetto a quanto ci sei dentro. Sentendo per l’ennesima volta la canzone di Jannacci mi sono venute le lacrime agli occhi e mi è successo altre volte sentendo altre cose, quindi può darsi che stia invecchiando e rimbambendo però mi sono reso conto, e non penso di essere il solo, che non esiste altra forma espressiva artistica che abbia un’efficacia immediata e devastante rispetto alle nostre emozioni come la musica.
Giusto ieri sera ero sul letto e avevo da poco scaricato la ristampa di Strada Facendo. Avevo gli auricolari e ascoltavo nel buio “Via”. E niente: dopo poco il cuscino era bagnato. Strano leggere proprio oggi queste cose che hai scritto.
Capita. Certo che può capitare di commuoversi per una canzone, un film, un libro. In quest’ultimo caso a me è capitato, di recente, che mi sono commosso con l’autobiografia di Janet Frame “Un angelo alla mia tavola”. Forse rimaniamo più colpiti, vorrei dire è quasi inevitabile, se la musica, il cinema o la letteratura ci raccontano una storia vera, capitata a qualcuno, anche se non lo conosciamo.