Le sorelle Materassi e Twitter, sul Corriere

Per difetto professionale, mi capita spesso di incuriosirmi ai meccanismi mentali da cui nascono le scelte dei giornali: che lettori immaginano nel decidere di pubblicare una storia, cosa pensano funzioni meglio in una titolazione, perché usano una parola invece che un’altra. Ormai ho familiarità con diverse di queste scelte, come se direttori e caporedattori me ne parlassero, come se li conoscessi di persona (alcuni li conosco, ma parliamo d’altro).
Il Corriere della Sera, per esempio, mi appassiona: è al tempo stesso il quotidiano più storicamente importante e “autorevole” del paese, quello con grandi possibilità di crescita ed evoluzione e grande duttilità, e però anche quello più legato a un’idea antica dei propri lettori. Il che vuol dire due cose: una è che – abbastanza giustamente – il Corriere immagina i propri lettori come molto “antichi” essi stessi, l’altra è che – meno saggiamente – alcuni dei suoi linguaggi e scelte sono invece proprio anacronistici e perdenti nella prospettiva di rinnovare una comunità di lettori che per ragioni biologiche presto si esaurirà.
Uno dei molti fronti in cui questa antichità si esprime (un altro sono certe lenzuolate culturali identiche da decenni – Moravia, Giovanni Gentile, il Novecento as a whole – che il mio amico Matteo Bordone si diverte spesso a prendere in giro) è quello che io chiamo “Paris Match”, ovvero della passione per inezie e faccenduole legate a reali o governanti internazionali di apparente eleganza e fascino d’antan: meglio ancora se signore. Quindi qualunque cosa riguardi la famiglia Kennedy (e Jacqueline va sempre e rigorosamente in prima pagina), di certo Carla Bruni, Kate e William, Michelle Obama: “celebrità” di cui al Corriere immaginano i lettori si interessino sognanti come se fossero in un salone di parrucchiera degli anni Sessanta, o come se fossero le due ragazze del film “Borotalco” di Verdone: “Ma a te piace de più, Bburt o Rrobbert?”. O in generale lettori che guardano molto la tv, e da lì derivino le loro curiosità: gossip su celebrities anziane o riconoscibili dagli anziani (persino in Cultura, la questione di un buffet di nozze di Saramago: e nel titolo “Saramago divorzia da Granada” pur essendo lui morto nel 2010).
Forse mi sbaglio, ma anche l’improvviso spazio dato alla Giamaica oggi mi fa pensare che c’entrino la “regina” e una foto della signora capo del governo (in due pagine occupate da: i Kennedy, “Yulia” in prigione, “Carlà”). Sul presunto interesse del cognome Kennedy nell’Italia del 2012 oggi Repubblica ha superato il Corriere, comunque.
Ormai ottuso da questo pregiudizio, trovo in un titolo due pagine dopo l’espressione “il fidanzatino” per definire un diciottenne che avrebbe ucciso la sua ragazza in Puglia: termine che fa ridere chiunque sia nato dopo la Guerra e che useremmo solo un po’ ironicamente per dei bambini sotto i 14 anni.
Ma soprattutto, tendo a immaginare che queste stesse scelte e questi stessi linguaggi non siano quelli della maggior parte delle persone che fanno il Corriere della Sera: sono quelli che immaginano propri dei loro lettori, o che provano a tramandare nei loro lettori. La grande contraddizione dei giornali contemporanei infatti, e soprattutto di quelli italiani, è che per loro restare fedeli ai propri temi e linguaggi equivale a morire – perché stanno sparendo quei lettori – ma cambiarli significa cercare nuovi lettori che potrebbero non esserci più, per i giornali.

Cosa stia facendo il Corriere – restando su questo caso di studio – non lo so e non ho la presunzione di saperlo: fior di teste ci staranno lavorando da tempo e per esempio l’apertura della Cultura oggi è dedicata a una storia che riguarda la Rete, narrata con linguaggi da estranei alla rete (“cyber poliziotto globale”, “popolo del web”, “007”). Quello che il lettore percepisce è un tentativo di conservarsi l’unico capitale che c’è – i lettori anziani – e di sperare che si rinnovi (con lo stesso meccanismo berlusconiano di coltivazione di una cultura anacronistica di cui si nutrono e che li legittima) in generazioni più giovani interessate all’ennesimo trisnipote dei Kennedy da attrarre con dosi accessibili di modernità. Ed è una faticaccia, degna di attenzione e rispetto.

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Un commento su “Le sorelle Materassi e Twitter, sul Corriere

  1. Silenzia

    “[…] tendo a immaginare che queste stesse scelte e questi stessi linguaggi non siano quelli della maggior parte delle persone che fanno il Corriere della Sera […]”
    Caro Luca, ci sarà del vero in questa tua speranza ma ho il sospetto che certi linguaggi o sintagmi chiave siano frutto di automatismi duri a morire anche in menti più fresche (i notori “terremoto nelle maggioranza”, “strage annunciata”, “fidanzatino”, “cyberpoliziotto”,”bufera nel governo” e via andare). I lettori anziani, poi, sono una categoria perenne; altrimenti dovrebbero essere scomparsi progressivamente già dalla caduta del muro di Berlino. Il Corriere delle Sera non cerca di conservare i lettori anziani, li produce in proprio.
    Ci prova da sempre anche Repubblica (le superfici a lenzuolo sulle dinasty Agnelli e derivati dell’alta borghesia) con risultati quasi equivalenti al Corsera solo in occasione delle mostre del cinema / vernissage da generone romano/ premi Streghe-Campielli-Bancarelle.
    Intanto O.T. la piattaforma splinder chiude a fine gennaio e con lei spariranno tutti i suoi contenuti blog, come lacrime nella pioggia…?

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