Pubblico una considerazione che ha scritto Pierfilippo Capello, avvocato che si occupa di diritto sportivo, su quello che avevo scritto stamattina di Genoa-Siena.
La riflessione di Sofri sulla “giustizia sportiva congegnata psicologicamente per non risolvere il problema della violenza nel calcio”, mi fa fare un’ulteriore riflessione, più tecnica, sui limiti oggettivi che la giustizia sportiva ha in Italia rispetto ad episodi di questo tipo.
La sua considerazione è un ottimo punto di partenza per inquadrare brevemente i limiti del sistema della giustizia nel calcio, e i difficili rapporti tra giustizia sportiva e giustizia ordinaria.
Allo stadio di Genova, come in tutti gli stadi italiani, l’ordine pubblico era gestito soltanto dal vicario del questore, l’unico che può disporre della forza pubblica.
Le società di calcio non hanno nessun controllo sull’ordine pubblico dentro o fuori dallo stadio, né hanno il potere di svolgere un controllo preventivo, scegliendo per esempio di non vendere i biglietti a determinati tifosi.
Questa scelta, infatti, può essere fatta solo dopo che da parte della giustizia ordinaria sia stato emesso un DASPO (un provvedimento di Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive).
Inoltre, la giustizia sportiva può esercitare i suoi (pochi) poteri solo nei confronti dei tesserati della Federazione (società, giocatori, presidenti, dirigenti…): e poiché i tifosi non sono tesserati, gli organi della giustizia sportiva, semplicemente, non hanno alcun potere nei loro confronti.
Dopo fatti come quelli di Genova, la Federazione deve decidere se punire una società (il Genoa) per comportamenti che non sono stati messi in atto dai suoi giocatori o dirigenti, ma per azioni commesse da “tifosi” sui quali la società non ha nessun controllo né potere.
La scelta della FIGC di sanzionare comunque i club per i comportamenti dei propri sostenitori è però giustificata dalla volontà di tagliare alla radice quel rapporto tra squadre e ultras che ha caratterizzato il calcio negli ultimi anni.
Tuttavia, da un punto di vista squisitamente giuridico, punire le squadre per quello che fanno gli ultras è evidentemente una forzatura, soprattutto in casi come quello di Genoa-Siena.
Ora c’è da chiedersi se e in che misura questi limiti tecnici contribuiscano ad un “rituale che mira a rimuovere il problema ed eludere la soluzione”.
Dal mio punto di vista, che è quello di chi si muove fra i codici delle due giustizie, è evidente che, per ovviare a questa anomalia e, nello stesso tempo, fornire al mondo del calcio degli strumenti idonei per “smarcarsi” dal ricatto degli ultras, è necessaria una riforma ampia, sia del sistema della giustizia sportiva quanto, e – forse – soprattutto, dei suoi rapporti con la giustizia ordinaria.
In altri paesi (uk) il problema e’ stato risolto con leggi di ordine pubblico su misura per il problema calcio. Il problema e’ di pubblica sicurezza. La Legge deve definire quali comportamenti non sono accettabili e la Pubblica Sicurezza deve farli rispettare. Per cominciare come in USA per le norme relative allo spaccio di droga che motliplicano le pene se il reato e’ commesso vicino ad una scuola, potrebbe valere la pena provare ad moltiplicare per X pene per i reati commessi in occasione di una partita di calcio. Il punto e’ che gli ULTRAS non ricattano solo le societa’ sportive, ma, mi sembra anche i Questori. Per finire se gli steward non sono in grado di garantire la sicurezza all’interno dello stadio, e’ il Questore o il sindaco o chi ne ha il potere, non permettere lo svoglimento dello spettacolo, non chi ne gestisce il business. La Lega pensi a multare con severita’ i comportamenti antisportivi dei tesserati. ( Commenti sull’ operato dell’arbitro, proteste sguaiate, similazioni, etc ) Prendere a spunto da tennis o NBA dove basta un imprecazione per prendersi un “fallo tecnico”.
E lo scandalo non accenna a finire si parla di nuovi nomi e di addirittura nuove partite truccate di questa stagione…