News that were not

Nella quarta puntata di The Newsroom (è andata in onda la quinta, intanto) c’erano due cose notevolissime per noi quattro gatti – o per me da solo, come sostiene Matteo Bordone – che ci appassioniamo ai discorsi sul fare le cose bene con il giornalismo. Aspettavo a scriverne per vedere se le trovavo tutte e due, ma su YouTube la prima non è apparsa. Era di fatto la versione televisiva di una puntata di “Notizie che non lo erano”, con l’esposizione di come una falsa notizia sui costi di un viaggio di Obama in India era circolata, era stata adottata, era diventata parte di una campagna; e la spiegazione di come quella notizia fosse falsa, e false tutte le costruzioni conseguenti. Nell’episodio si chiedeva che i promotori di tali palesi falsità dovessero portare un’etichetta come quelle delle sigarette, che indichi il rischio di bugie e pericolo per la corretta informazione dei cittadini.

Ma la scena mozzafiato (ma a me piace molto anche l’autoironica formula “I’m on a mission to civilize” con cui il protagonista cerca di redimere giornalisti e lettori che si appassionano al gossip e alle demolizioni giornalistiche di personaggi pubblici) è lunga i sette minuti finali, in cui potete trovare di tutto: la potenza della breaking news in una redazione, la commozione di una storia drammatica, e la lucidità – nella realtà quasi introvabile – di non fidarsi di una notizia che stanno dando tutti. La storia di quel guaio giornalistico la raccontammo qui sul Post, dove quel dilemma capita una volta al mese.

aggiornamento: la scena sul viaggio di Obama in India.

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9 commenti su “News that were not

  1. L.

    Se posso permettermi un appunto piccolo piccolo. Il titolo non dovrebbe essere “news that was not”?

  2. Drockato

    In Italia, come molti addetti ai lavori sanno, la verifica delle fonti è caduta in desuetudine. Nelle redazioni storiche esisteva la figura di colui o colei che si occupava del giro di telefonate non appena negli uffici comparivano i pezzi dei collaboratori e degli inviati. Ora non accade più perchè erroneamente si pensa che il dare la notizia in maniera tempestiva, giocando sulla grande flessibilità di internet, sia più importante che saperla vera. Male che vada si corregge subito dopo la pubblicazione. Il vero problema è che l’80% delle notizie pubblicate su testate online provengono dai collaboratori delle agenzie di stampa che, su un fatto di grande portata, lanciano tra i tre e i sei take della presunta notizia, correggendosi, alzando il tiro, smorzando i toni, aggiungendo particolari.

    Chi lavora nelle redazioni online è giocoforza obbligato a pubblicare i vari take dell’agenzia in maniera tempestiva per poi correggere, alzare il tiro, smorzare i toni e aggiungere particolari. Ovviamente il mio discorso vale per certe notizie ma non per altre. Il caso della falsa notizia sull’uccisione della deputata americana è stato un clamoroso sbaglio ma credo sia stato dettato più dalla paura di prendere un “buco” giornalistico, che nelle redazioni è un’ossessione ricorrente. Trovo sbagliato confondere i quattro tipi di giornalismo citati (carta stampata, radiofonico, televisivo e web): i mezzi a disposizione sono diversi, così come i tempi, le modalità di raccolta e di elaborazione della notizia. In breve: la notizia falsa pubblicata sul quotidiano e annunciata ai microfoni risulta sempre avere un’aggravante rispetto a quella del web, a meno che, colpevolmente, non si lasci la versione non corretta.

    Trovo simpatico, poi, che il “dilemma” che citi si presenti anche in una realtà come il post, che quotidiano non è: lodevole il fatto che in redazione vi poniate dubbi del genere, ma risulta alquanto strano dato che a quanto ho capito, il Post non è un quotidiano, ma un “superblog” che elabora lanci d’agenzie e notizie apparse su altre testate propriamente giornalistiche, e quindi è possibile che trascorrano anche diversi minuti prima della pubblicazione effettiva. Un lasso/lusso di tempo che nei quotidiani non può esistere. Sul fare bene il giornalismo il discorso è ineccepibile, ma alcune mancanze, anche del Post, potrebbero stridere col senso del discorso. Esempio dagli articoli linkati: “Altri quattro feriti sono in gravi condizioni. L’uomo che ha sparato si chiama Jared Loughner, ha 22 anni ed è bianco”. La notizia c’è ma fa capolino un particolare. “Bianco”. Serve alla comprensione del pezzo? Serviva aggiungere un particolare come questo? Fosse stato nero, rosso, giallo o verde cambiava qualcosa alla storia?

  3. Luca

    Risposta alla domanda di “Drockato”: sì, cambia qualcosa alla storia, come ogni dettaglio che descriva di più i suoi protagonisti. E credo di spiegarmi la tua obiezione con questa domanda: se avessimo scritto “ed è di Chicago” o “ed ha 43 anni”, avresti protestato?
    Sul resto, hai un approccio che vuole “categorizzare” le cose a priori che non è il mio, quindi non ho niente da dirne nel dettaglio.

  4. lorenzo68

    Luca, perdonami: è forse vero che l’omofobia tende a veicolare l’interesse del lettore con maggiore enfasi che non una semplice notizia accessoria inerente l’età anagrafia? Sbaglio?

  5. Drockato

    Luca, non voglio categorizzare un bel nulla. Ma ho lavorato in tre redazioni di diversa grandezza e conosco quindi il linguaggio, il modo di esposizione e le priorità del giornalismo. Semplicemente ragiono in base alle mie conoscenze della materia. Riguardo l’obiezione: anche qui, non sto protestando per niente… Ma dire “è bianco”, e quindi enfatizzare l’etnia, è scorretto e non aggiunge nulla al pezzo. Diversamente, dire “è di Chicago” e “ha 43 anni” si, perchè in quel modo il lettore può sapere che è una persona di mezza età non originario e non residente dell’Arizona.

    Invece, quale percorso, nella mente del lettore, compie il puntualizzare che si tratta di un bianco? Si tratta di una negazione implicita. Non si tratta di uno svalvolato criminale afroamericano o asiatico, non è un pericolo che proviene dalle comunità più stigmatizzate degli Usa e porta il lettore ad escludere cortei, fiaccolate, interviste e annunci di politici e manifestazioni di piazza contro la criminalità “di colore” (come succederebbe qui in Italia, ovvio).

    Luca, davvero secondo te il dettaglio “è bianco” ha una funzione informativa?

  6. Drockato

    Era una domanda retorica. E comunque: bah…

    Ribadisco che è un elemento in più che non serve e contraddice, anzi, quello che si impara al primo giorno della scuola di giornalismo. E cioè che la notizia deve essere “essenziale”. Ciao.

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