Da domani in Italia si parlerà dello Huffington Post in altri termini, con l’uscita della versione italiana. Ragione in più per avere maggiore chiarezza sul modello americano e su come abbia funzionato finora. Vittorio Veltroni, che ne sa, ha scritto una cosa finalmente competente sulla forza dello Huffington Post e le ragioni del suo successo: e la prima cosa vera la dice già nell’incipit.
Non per tutti è chiaro che cosa sia effettivamente la corazzata Huffington Post
In effetti il successo americano dello “HuffPo” è stato molto equivocato e raccontato un po’ superficialmente qui. All’analisi di Veltroni io vorrei aggiungere quello che è da molto tempo il mio parere, che a quell’analisi assomiglia.
Lo Huffington Post non ha avuto nessuna idea rivoluzionaria: a guardarlo e leggerlo non è un oggetto diverso, in termini di contenuti e di forma, da moltissimi siti di news. La sua unica e vincente idea rivoluzionaria è stata quella di sfruttare – militarmente e arruolando e costruendo straordinari know-how – ogni opportunità nuova offerta dalla rete: fare tutto, farne tanto, farlo professionalmente.
Hanno capito le chances create dall’aggregazione di contenuti altrui, e ne hanno aggregati e offerti tantissimi. Hanno capito l’importanza della promozione sui social network, e ne hanno studiato e messo in pratica ogni sviluppo efficace. Hanno capito l’attrattiva dei blog non pagati per gli autori e ne hanno dati in giro migliaia (persino a me), recuperandone pagine viste gratis: anche se il loro valore nell’economia generale dello HuffPo è molto sopravvalutato, come spiega giustamente Veltroni (per coincidenza, tutta questa settimana le strisce di Doonesbury attaccano il rapporto dello HuffPo con i blogger non pagati). Hanno capito che i lettori della rete non vogliono più solo giornalismo, informazione e attualità, ma soprattutto “contenuti”: e hanno riempito il sito di liste, video, strano-ma-vero e altri classici del “boxino morboso” che generano supernumeri. Hanno capito la scienza del SEO (search engine optimization) e ne sono diventati scienziati: nei titoli, nei testi, nei tag, nella stessa scelta delle notizie da pubblicare.
Hanno fatto tutte queste cose con un’assiduità e una professionalità inimitate (quando mi mostrarono la redazione, la prima volta che andai, mi dissero: “quei venti sono la redazione, gli altri cinquanta fanno SEO”).
Poi sono un giornale con una sua vaga linea editoriale e una più definita linea politica. Ma quello conta poco: sono soprattutto un grande editore, capace di vendere i suoi prodotti molto diversi tra loro e di individuare la domanda del mercato. Io credo che la versione italiana sarà anche altro: magari me lo auguro, persino, e lo auguro a loro.
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in effetti… da un tweet che ho letto l’altro giorno “Huffington post has become an unreadable SEO wordsalad”
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Condivido l’analisi su “cosa è”. Bene, a vedere l’intervista dell’Annunziata su Repubblica.it mi pare che la nuova direttrice non ci abbia capito nulla. D’altra parte se sei edito dal Gruppo L’Espresso che ha già Repubblica.it e L’Espresso non c’è altra ragione per acquistare l’HuffPost in versione italiana che per tenerlo lì buono buono in un angolo, evitare che ti dia fastidio e poter mettere un po’ di link da Rep.it che ti consentano di tenerlo in piedi con gli ads senza rimetterci soldi – stipendione dell’Annunziata a parte.
Tanto i blogger non vanno “bagadi berghé fanno solo obinione”. Il resto lo fai con 10 stagisti e 10 consulenti esterni.
dai siamo onesti, se fossi nato in america invece che in quel della toscana, oggi IlPost sarebbe l’ HP… ma non avremmo mai avuto Condor, in fin dei conti va bene così!
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Ci ho passato una decina di minuti e mi ricorda tanto Il Fatto Quotidiano… mi tengo stretto Il Post…
Come al solito, quando arrivano le cose in Italia le cose peggiorano. Se in america sono all’HP sono SEO masters, in Italia se cerchi Huffington Post Italia (per non parlare di Huffington Post) non sono nemmeno fra i primi posti sella serp di Google.
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Io invece sono felice di avere la possibilità di non leggere il blog di Tremonti.
Solo per quello ho avuto un moto di repulsa.
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“Ora,se la pubblicità si basa sull’infelicità delle persone,quella di “Compro oro” si fonda sulla disperazione delle famiglie.L’Espresso e Repubblica hanno più volte denunciato i loschi interessi che stanno spesso dietro a questi negozi sorti come funghi dal principio della crisi,i rischi di speculazioni e riciclaggio mafioso,l’evasione fiscale e le truffe.Finalmente il governo Monti si è deciso a mandare la Finanza,che finora ha accertato reati e irregolarità nel 6o per cento degli esercizi.A parte questo,la pubblicità del sito di Grillo,è due volte ingannevole.Intanto per come è messa.L’annuncio figura in una sezione che non è dichiaratamente uno spazio pubblicitario.In alto,ben visibile accanto ai comunicati politici del capo,confusa con altri interventi e informazioni di vario genere.Di sicuro gliel’avranno pagata bene”.
(Curzio Maltese, “La Repubblica”, 30.9.12)
Perchè solo “REPUBBLICA” scrive ciò?