“Tra due caste”

C’è una deprimente corrispondenza nel declino di fiducia, credibilità e qualità della politica e in quello dell’informazione, in Italia: l’ho scritto altre volte, e ho già scritto come questa sia una cosa su cui Beppe Grillo vede giusto da tempo, da quando gli ho sentito dire per la prima volta a un intervistatore “voi siete i prossimi”. Ma Grillo si illude, perché ho l’impressione che la macchina di autoconservazione creata dalla cattiva informazione sia più solida di quella della cattiva politica, che si sta sbriciolando da un pezzo. A differenza della politica, di cui dovrebbe essere sentinella l’informazione, l’informazione non ha sentinella, se non noi pigri: che lo saremmo anche della politica e guarda i risultati. I media riescono a convogliare aggressività e rancori verso la politica, e per quanto screditati diventino essi stessi, per i lettori il bersaglio grosso restano i politici: bisognerebbe che questi ultimi riuscissero a tornare un po’ modelli credibili e positivi per spostare allora l’attenzione sulle mediocrità dell’informazione, e che fossero in grado di emanciparsi dal servilismo nei confronti dell’intervista sciocca a pagina a sei e dalla trottola di fuffa dichiarazionistica e retroscenistica con cui i media li fanno ballare. Gran parte dei giornali oggi è mandante della cattiva politica (e della cattiva Italia) e gran parte dei politici ne è esecutrice materiale.
Per i lettori, siamo ancora alla fase del passivo disprezzo, senza conseguenze sovversive: d’altronde, il disprezzo per i politici è a livelli di guardia da decenni, e ancora non abbiamo cambiato niente; la profezia di Grillo non appare credibile a breve. Ma almeno cominciamo a parlarne, come fa Cesare Martinetti sulla Stampa di oggi parlando della protezione dei giornalisti in discussione in parlamento.

È su questo punto che giornali e giornalisti devono riflettere. Se provassimo a fare di questa vicenda una battaglia generale, non credo che troveremo folle disposte a scendere in piazza per difendere «questa» nostra libertà di stampa. Quando è successo, recentemente, è stato contro l’ipotesi di vietare la pubblicazione delle intercettazioni, si trattava però di movimenti girotondini – rispettabili e legittimi – ma partigiani, votati soltanto alla caduta dell’arcinemico Berlusconi. Certo, i giornali non ideologici sono strumenti di informazione, per natura problematici e pluralisti, non smuovono le masse. Ma l’impressione è che i cittadini vivano tutto questo come lo scontro tra due caste, l’una assediata dall’antipolitica (rappresentata simbolicamente dalle percentuali di Grillo in ascesa costante nei sondaggi) che cerca di rivalersi sulla seconda a cui attribuisce tutta la colpa della sua caduta.
È la fine di un compromesso a suo modo storico nella storia italiana, dove i giornali sono sempre stati vissuti come l’altra faccia della politica e mai come ora appaiono lontani dal quel modello di «cane da guardia del potere» rappresentato dalla stampa americana o semplicemente da un modello liberale di informazione. Andate a leggere un po’ di blog sparsi, fate un tuffo nel «giornalismo cittadino» della nuova web-era. I giornalisti sono spesso considerati lecchini e carrieristi, non «cani da guardia», bensì cani «da compagnia e spesso da riporto», per l’appunto una casta accanto alla casta. Quella che non si sente è la voce di una cultura democratica dell’informazione, l’accettazione di un potere che comporta responsabilità da parte di chi lo fa e di chi lo subisce.

Costume e malcostume, di qua e di là, in una battaglia il cui vero dramma è l’estraneità dal mondo reale, di un vero interesse pubblico. Come ha scritto l’altro ieri sul nostro giornale Carlo Federico Grosso, cancelliamo il carcere e lasciamo le cose come stanno. I politici facciano della buona politica, e i giornalisti dei buoni giornali.

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