Una parte di una cosa su Big Data e come internet ci cambia pezzetti della vita che ho scritto per IL di questo mese.
Lo dicono nel loro libro Mayer-Schönberger e Kenneth Neil Cukier: «L’era dei Big Data sfida il modo in cui viviamo e interagiamo con il mondo. La cosa più impressionante è che la società dovrà accantonare alcune delle sue ossessioni per i sistemi di causa ed effetto in cambio di semplici correlazioni: interessandosi non ai perché ma solo ai cosa. Questo ribalta secoli di pratiche consolidate e mette in discussione i nostri più basilari approcci a come prendere le decisioni e comprendere la realtà».
L’accantonamento della ricerca di senso e ragioni delle cose in favore di una prevalente attenzione ai modi del loro dispiegarsi è in effetti una rivoluzione che investe molto altro del nostro modo di pensare, e non solo il tema dell’indagine sui dati. Perché è legata anche alla nuova accelerazione del cambiamento, all’evoluzione continua di fenomeni e successioni di cause ed effetti, che rendono fragile e volatile ogni costruzione generale e sintetica di fenomeni e successioni. In poche parole, nel tempo in cui organizziamo in schemi e rapporti causali universali le cose che osserviamo – ogni mese diverse dal precedente – queste sono appunto cambiate e con loro quegli schemi e rapporti. L’approccio dei Big Data ci dice di dedicarci a osservare e trarne insegnamenti e informazioni duttili, aggiornabili ogni giorno assieme allo sfruttamento di quelle informazioni. Quando nuovi fattori sconvolgono i criteri dei prezzi dei biglietti, il sistema di Farecast funziona lo stesso. Quando l’influenza verrà trasmessa da quel che mangiamo e avrà i suoi picchi in agosto, il sistema di Google Flu Trends avrà identica validità.
La riflessione ulteriore è su quali implicazioni possa avere questo nuovo ruolo di osservatori sul piano dei giudizi etici: tra osservare, capire e giudicare, siamo abituati finora a concentrarci soprattutto sulla terza attività, spesso a scapito della altre due, e internet sembra spingerci ancora di più in questa direzione, come se fossimo sempre più disposti a sacrificare la comprensione delle cose, ma non l’opinione da esprimere. Osserviamo molto, rinunciamo a capire, giudichiamo moltissimo.
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Senza teoria, capire rimane impossibile. Ovvero: .
Il fatto di lasciar perdere i perché (se non in senso estremamente ristretto) per concentrarsi sul cosa (e sul come, sul quanto e quando eccetera) è praticamente tra le basi della scienza, le teorie scientifiche descrivono la realtà e fanno previsioni. Sono contento che con la moda dei Big Data questo aspetto cominci ad arrivare anche a chi si occupa d’altro, sperando non si deformi troppo.
No dico, ma stiamo scherzando????
“l fatto di lasciar perdere i perché (se non in senso estremamente ristretto) per concentrarsi sul cosa (e sul come, sul quanto e quando eccetera) è praticamente tra le basi della scienza”
Ma che corbellerie dobbiamo sentire? La Scienza si basa sul rapporto di causa/effetto, il metodo scientifico è fondato sul concetto che “correlation doesn’t imply causation” e questa distinzione dev’essere sempre chiara nella mente di chiunque, altrimenti partoriremo sempre mostruosità come la sentenza dell’Aquila sui terremoti “prevedibili”.