C’era una volta la pubblicità creativa

Tanti anni fa, miei piccoli lettori, in un tempo lontano, la pubblicità divenne una forma d’arte. Le sue idee e invenzioni furono infine riconosciute come opere di grande qualità, che non si esaurivano nel suggerimento ai clienti di comprare qualcosa, ma costruivano opere visive originali, intelligenti e creative. Lo so, vi sembrerà incredibile: oggi vedete i programmi della tv interrotti da spot il cui messaggio è sempre  basico, elementare: c’è un prodotto, e qualcuno vi dice che è buono, fidatevi, punto. E nella gran parte dei casi il prodotto aiuta con la diarrea, con la menopausa, o col diventare molto ricchi: per esempio rispondendo alla domanda “Quale animale ha un marsupio, la mucca o il canguro?”. Ma invece fu proprio, così, in quel tempo: si organizzavano festival e proiezioni, e se ne scrivevano articoli, sugli spot pubblicitari. C’erano programmi tv solo di pubblicità, buffo no? E la gente li guardava, perché erano belle, spesso, come dei piccoli film. Pensate che a volte quasi nemmeno si parlava del prodotto, e lo stesso, dopo, quel prodotto diventava famoso e le persone lo compravano.
Erano tempi strani, già. Ora gli spot e le pubblicità si limitano a dirvi “questo è buono”: e anche su internet, il mezzo del futuro, la pubblicità ha conservato quei messaggi lì, riprendendo dalla tv gli spot video e dai giornali i banner promozionali. Mica si è inventata stranezze nuove. Chissà cosa gli era preso, quegli anni là: ma ora è passata, fate la nanna, miei piccoli lettori.

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8 commenti su “C’era una volta la pubblicità creativa

  1. tonio

    Io, che non faccio parte dei piccoli lettori, ben mi ricordo degli spot girati da Fellini e di quanti arricciavano il naso davanti a questo sconfinamento dell’arte. Ma già prima, in tanti si facevano venire dei dubbi sul fatto che brani celebri di musica classica sposassero un prodotto commerciale fino ad indentificarsi con esso.
    Secondo la mia opinione, e non so quanto sia provocatoria, prima c’era maggior cura per il consumatore, quando si tentava di convincerlo; oggi viene stanato come in una battuta di caccia.

  2. steamerbag

    Siamo tornati alla vecchia Unique Selling Proposition (Madison Avenue Age), hanno capito che, anche perché ci sono pochi soldi e anche perché i media si sono moltiplicati e complicati, si poteva tornare alla propaganda. Proprio mentre tutti parlano di ‘narrazione’, questa viene completamente abbandonata da un tipo di comunicazione che adesso è molto più preoccupato di capire come si possono usare le tecnologie smart. Il periodo a cui ti riferisci ha creato una serie di registi che poi ha anche un po’ cambiato il cinema, anche se non nella sostanza: Glazer, Jonze, Gondry, Romanek etc. (si, c’erano anche i videoclip, ma la pubblicità era un linguaggio più innovativo, perché il personaggio letterario era un marchio) E poi l’arte non è mai dove tutti pensano che sia (la Biennale di Gioni ha cercato di dirlo: ‘non è più qui’), si sposta sempre.
    Mah, l’avete visto il finto giapponese della pubblicità della suzuki?

  3. Fagal

    “c’è un prodotto, e qualcuno vi dice che è buono”. Ma questa é la base funzionale della pubblicità, aumentare la quantità di prodotto venduto. Il consumatore deve scegliere di acquistare un paniere di beni con un livello di reddito stabilito (poi può indebitarsi, ma quella é altra storia, poco italiana). Bisogna convincerlo, stop. “Pensate che a volte quasi nemmeno si parlava del prodotto, e lo stesso”….questo lo si può fare quando il mercato é in espansione, cioé si vendono comunque più prodotti perché il consumatore ha maggiore disponibilità di spesa. Quel tipo di messaggio pubblicitario eleva “qualitativamente” il prodotto. Nel senso che uno spot che cattura oltre il prodotto può far intendere al consumatore che sia di qualità superiore. Quello che mi sono sempre chiesto, non avendo cultura pubblicitaria, é dove sia poi il “punto di rottura”: se confeziono una pubblicità dove il mezzo di comunicazione diviene più importante del prodotto commercializzato, penso che il rischio sia quello o di far passare in secondo piano il prodotto, oppure di avvantaggiare non quel singolo prodotto bensì l’intera categoria di produzione, favorendo comunque la concorrenza (effetto traino). E’ evidente che questi effetti e comunque questo tipo di pubblicità non possa essere ben accetta quando l’economia si contragga e i consumi siano calanti. In questo caso si ritorna alla base, cioé alla necessità di fare una pubblicità per vendere di più e non anche meglio (primum vivere deinde philosofari). Forse, almeno in Italia, é una condizione che non conoscevamo (non solo per la pubblicità ma in particolare per tale settore, nato essenzialmente negli anni 80) poiché la tendenza o l’aspettativa é sempre stata per un incremento del consumo, con effetti diretti anche sulla fase di commercializzazione del prodotto. La crisi del 2008 é stata come una randellata che ha traumatizzato non solo l’economia ma la società occidentale intera, costruita su un concetto di modernità associata necessariamente al benessere ed all’accrescimento rettilineo dello stesso.

  4. Fagal

    Mi permetto di sollecitare un pensiero all’autore o ai lettori, prendendo come spunto la pubblicità ed il post precedente. Noi abbiamo sempre pensato che la cifra della società occidentale fosse lo sviluppo economico-sociale, quello che in una parola si chiama benessere. L’idea della società occidentale veicolata dai mezzi di comunicazione di massa era che “qua si stava bene e si sarebbe stati meglio” oppure che qua “si stava meglio che là”. Poi l’apertura dei mercati, la globalizzazione delle economie e delle società, ha, per un sistema di vasi comunicanti, migliorato le condizione di vita in altri “mondi”, a “fronte” di un regresso delle condizioni socio-economiche occidentali, aggravate dalla crisi economica degli ultimi. Le ultime notizie dicono che nel prossimo futuro forse le economie occidentali si riprenderanno un poco, rallenteranno quelle di altri sistemi…. Ma l’elemento certo é che il XXI secolo ha incrinato l’idea strutturale che la società occidentale fosse la culla di un benessere che potesse crescere in modo rettilineo, senza arretramenti sociali ed economici. Il post di Luca Sofri sulla pubblicità mi pare sia una testimonianza. Ciò rilevato, richiamando la pubblicità, mi chiedo allora in cosa sia più “moderna” od “occidentale” la pubblicità di oggi rispetto a quella di venti o trent’anni fa. La risposta che mi viene in mente che non é data dal prodotto ma dalla tecnica di produzione. Il solo elemento che mi sembra possa giustificare un giudizio di evoluzione e modernità “occidentale” sia quello dell’idea, dell’invenzione, della brevettazione, che rimane un elemento distintivo della cultura occidentale http://www.bugnion.it/approfondimenti/documenti/Statistiche_EPO.pdf , a differenza della prodotto che ormai non connota più il modo di vita occidentale.

  5. tonio

    O forse, seguendo un’altra ipotesi rispetto ai commenti scritti, la pubblicità ha cambiato strategia. Quando leggo “a volte quasi nemmeno si parlava del prodotto”, penso che oggi è così quasi sempre: se la pubblicità non è più vetrina della creatività, però è diventata ammiccante verso le espressioni d’opinione. Non è tanto il prodotto reale a colpire il consumatore, ormai ben al di là della soglia di necessità o di utilità segnata dai bisogni materiali; ma ciò che in maniera subliminale la pubblicità tenta di suggerire è il raggiungimento attraverso “quel” prodotto di un certo stile di vita che possa appagare non tanto i bisogni materiali, appunto, quanto piuttosto quelli legati al proprio modo di essere, ed è in questo senso che la pubblicità avrebbe la funzione di aiutare il consumatore/fruitore ad individuare e soddisfare l’appartenenza al proprio gruppo sociale. Pertanto, è nato il prodotto ecologico, etico, minimalista, aggressivo, per la parità di genere, e così via. L’esempio più diretto è quello dei giornali che si autopromuovono non celebrando nuovi premi Pulitzer di casa nostra, ma semplicemente mettendo in copertina il volto del premier a favore o meno di macchina fotografica, anticipando così al lettore che potrà leggere notizie tendenziose, ma buone a rafforzare il senso di appartenenza.

  6. Fiandrino

    Dal sito del Manifesto si legge:
    La cupola delle grandi opere da realizzare in project financing ha da tempo programmato di sventrare l’Italia da Orte a Venezia con un nuovo corridoio autostradale lungo 396 chilometri, 139 dei quali in viadotti e ponti, 64 in galleria, con 246 tra cavalcavia e sottovie, 83 svincoli, aree di servizio ecc. ecc. Movimentazione di terra per 34 milioni di metri cubi prelevati fin dalla Puglia e – già che ci siamo – dal canale industriale del porto di Ravenna che ha bisogno di dragaggi. Lazio, Toscana, Umbria, Emilia, Veneto attraversate. Aggrediti ventidue siti di interesse ambientale riconosciti dall’Europa comprese le valli di Comacchio, il parco del Delta del Po, la laguna sud di Venezia, la Riviera del Brenta, le valli del Mezzano e le Foreste Casentinesi negli Appennini Centrali. Anche se ancora poco conosciuta, si tratta della più grande grande opera, dopo il ponte sullo Stretto di Messina, compresa nell’elenco delle 390 «infrastrutture strategiche» dichiarate di «interesse pubblico» e inserite nella Legge Obiettivo in attesa di essere finanziata dal Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica)…
    Come scritto nell’articolo precedente: si sa che l’industria del cemento muove sempre grandi imprenditori che molte volte non centrano una fava con il cemento (Vedi Benetton) ma sono sempre molto molto amici con i partiti con cui si scambiano favori sotto forma di palache.
    Non possiamo più permetterci di creare lavoro (tra l’altro pochissimo) in cambio di devastazione del paese per creare opere tra l’altro inutili. In mondo sta andando in un’altra direzione, una direzione anche forzata, quella dell’ eco-sostenibilità, dello spostare il meno possibile cose e persone per salvaguardare un pianeta che abbiamo consumato ed inquinato in poco più di 250 anni. I comitati che sono contro tali opere faraoniche (Orte – Venezia, TAV, ampliamento dell’aeroporto di Fiumicino, ecc…) devono alzare la voce, devono avvicinarsi alla resistenza, alla protesta decisa come avviene in val Susa.

    http://pagliablog.blogspot.it/

  7. Fiandrino

    “Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. (…) Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C’è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma.”
    Frederic Beigbeder

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