Del saper fare le cover

I dischi di cover, si sa, sono nella maggior parte dei casi un trucco per tenere a galla cantanti in crisi creativa o in cerca di spiccioli: si butta lì un disco di cover inciso in tre giorni, si tira su la rete e qualcosa rimane, senza neanche scegliere le esche. Le versioni originali erano migliori, oppure erano anche semplicemente uguali e non se ne vedeva il motivo: qualche volta funziona perché vai a vendere a un nuovo pubblico cose che hai un po’ rovinato, ma lui, il nuovo pubblico, non lo sa (fino a quando non arriva un fratello grande o un genitore che lo umiliano facendogli ascoltare il precedente, che loro avevano il 45 giri).
Ci sono eccezioni, sempre meno frequenti. Bisogna saper fare qualcosa di nuovo con quelle canzoni, e qualcosa all’altezza (versioni reggae di pezzi di Springsteen, per esempio, meglio evitare): a volte ripulire dagli arrangiamenti e portare al minimale e acustico è una soluzione. Oppure, certi partono avvantaggiati: come Mark Lanegan, riverito cantautore americano ormai di lungo corso, che ha un vocione con cui può risolvere qualunque situazione. E ora ha pubblicato una raccolta di cover in cui stanno dentro Sinatra, Andy Williams, Nick Cave, John Cale, e la formidabile You only live twice che Nancy Sinatra cantava in quel film di 007. A Lanegan viene una cosa più rauca, fragile, povera, molto bella, in un bel disco di cover.

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7 commenti su “Del saper fare le cover

  1. Qfwfq71

    Rovesciamo la prospettiva.
    Le cover, spesso, consentono ai giovani di scoprire l’attualità di autori passati.
    Posso senza vergogna affermare di aver cominciato in adolescenza ad apprezzare Battisti grazie alla cover Ancora Tu (mi pare Betty Villani) e Fossati con La mia Banda suona il rock (Ciao Fellini).
    In entrambi i casi ero perfettamente a conoscenza del fatto che si trattasse di cover (che oggi non esiterei a definire scadenti) così come non mi erano del tutto sconosciuti gli autori in questione, però quel passaggio estivo mi aiutò a familiarizzare con delle musiche e delle sonorità che ritenevo appartenenti ad un’altra epoca (sentimento tipico dell’adolescenza).
    Da li a esplorare Anima Latina e Pianta del The il passo fu abbastanza breve.

    In generale ritengo che la ripetizione di un modello siano alla base dell’attribuzione di valore al modello stesso.
    Un prodotto (sia esso una canzone, un’opera d’arte o una marca di pantaloni) acquista valore anche in virtù della sua disponibilità a farsi tipica nel corso delgi anni. La Maison Domino (di Lecorbusioer) è una roba inguardabile, eppure la ripetizione su vasta sscala del suo modello ne fa una caposaldo della storia dell’architettura.
    Come una piramide che abbia al vertice il capostipite del modello in questione; tanto più è larga la base, tanto più alta sarà la piramide.
    Certo, nella definizione di valore entrano in gioco anche diversi criteri (qualità intrinseca del prodotto, persistenza nel tempo, valore affettivo attribuibile a quell’unicum) ma, nell’epoca della riproducibilità tecnica, il criterio della sua diffusione di uno stesso prodotto su vasta scala è certamente uno criteri più significativi.

  2. Giordano

    Quando se ne esce con queste chicche mi fa sentire meno solo. Grazie.
    A proposito di cover, vorrei sapere cosa ne pensa di un fenomeno sempre più diffuso, un sottogenere del genere “cover”: quello dell’artista che fa le cover dei suoi stessi pezzi arrangiati e suonati con orchestra da musica classica.
    Mi viene in mente Peter Gabriel (Scratch my Back) ma anche i PFM, Fink, De Andrè (con voce originale campionata).
    In genere trovo che l’opera ne guadagni quasi sempre…

  3. sderty

    Boh, mi sembra un disco vecchio per vecchi (Mark Lanegan).
    Per dire a Giordano quel che penso della domanda che fa, anche se non lo chiedeva certo a me però resistere non so, sono cagate pazzesche. Sempre. Soprattutto quelle che cita.

  4. uqbal

    Vero. Però quando si parla di cover mi sento sempre in dovere di ricordare che le cover di Battiato molto spesso sono meglio degli originali.

    Amore che vieni, amore che vai a me ormai interessa solo cantata da Battiato…e non ditemi che esagero.

  5. sderty

    Ah, infatti, per carità. La mia è una opinione assolutamente personale, certo. È che Mark Lanegan, come Bon Iver e altri simili, faccio proprio fatica a digerirli.

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