Il libro di Marino Sinibaldi è pieno di cose intelligenti e non banali, che è una cosa abbastanza rara: a parte le doti di Sinibaldi nella comprensione e analisi delle cose che succedono, il merito è secondo me anche della forma fluida della conversazione (non è esattamente un “libro di Marino Sinibaldi”, è Giorgio Zanchini che lo intervista: l’effetto è un po’ un precoce “padre della patria”, ma i padri della patria hanno di solito meno intuizioni e meno presente da raccontare). Come capita a quelli che celebrano “il libro” come forma prima di comprensione del mondo – si parla molto anche di questo, in questo stesso libro – io penso similmente che “la conversazione”, sia essa orale o scritta online, sia un mezzo imbattibile di costruzione di idee e analisi di ogni cosa (o discussione, o dibattito, o confronto).
Comunque, è pieno di cose, questo libro: di internet, di libri, di radio, di cultura e tentativo di definirla, di tempi che cambiano, ed equilibrio e misura nel giudicarli.
Da citare come esempi me ne sono tenute due. Una l’ho trovata molto familiare, e mi ha fatto realizzare – da padre in banale ambizione che la propria figlia undicenne si appassioni a leggere – quale fosse stato lo stimolo maggiore per me in questo senso, piuttosto che le insistenze di genitori su cose che ai ragazzi suonano sempre grigie e generiche e piuttosto che “il piacere della lettura”.
Mi sono messo a leggere perché mi ero reso conto che non sapevo nulla.
L’altra è un veloce accenno a una mezza dozzina di temi che riguardano la cultura, l’informazione, la crescita delle democrazie, le prospettive di business delle imprese editoriali, internet, e noi stessi.
Il rischio è che invece prevalga in Rete il modello per cui tu cerchi un contenuto, io ti do rapidamente una cosa mediocre, tu non paghi e siamo tutti e due contenti. Gran parte del commercio culturale in Rete vive di questo scambio. L’effetto è non solo quello di mettere in discussione il mercato della cultura – che attualmente non è in grado di sopravvivere alla totale gratuità – ma soprattutto di abbassare progressivamente la qualità e le attese del pubblico. Che si abitua a chiedere poco e a ricevere pochissimo. Mentre invece avremmo bisogno di users esigenti, ricchi (di domande prima che di denaro) e produttivi.
Quel che vedo io è invece una rete piena di contenuti di qualità (sia commerciali che gestiti da utenti e comunità, cioè da democracy now alle wiki), è solo la realtà italiana che fa schifo. Ma fa schifo anche negli altri media, la Repubblica in versione cartacea non brilla certo per qualità dei contenuti, per non parlare dei telegiornali.
Non sono d’accordo neanche sulle considerazioni sulla faciloneria del pubblico. Il pubblico di oggi è esigente come non mai, avendo molte più fonti di informazione disponibili ora c’è un effetto concorrenza che mai si era visto prima. Il giorno che avete aperto ilPost ho tolto Repubblica dai preferiti, il giorno in cui il corriere ha cambiato il sito lo ho sostituito con la Stampa. Seguo diversi quotidiani online stranieri, dato che il 90% degli articoli italiani che si leggono sono rivisitazioni di agenzie stampa, e sarà ben più facile farlo ora che 15 anni fa. Per non parlare appunto delle wiki, dei blog, dei forum di discussione. Non sono utenti produttivi quelli? IlPost non è pieno di riferimenti a blog e articoli scritti da non giornalisti?
Piaccia o no non c’è correlazione tra il pagare per un contenuto e la qualità del contenuto stesso, la colpa non è degli utenti, ma di chi si ostina ad usare internet nella maniera sbagliata.
“Mi sono messo a leggere perché mi ero reso conto che non sapevo nulla”
ed ora, avendo letto tantissimo, il mio possibile, mi rendo conto ancora meglio che non so nulla
ormai sono poche le persone in grado di leggere e capire un articolo cartaceo di media lunghezza. ce ne fossero di lettori di repubblica, in realtà molti la criticano perchè l’ha detto grillo, ma non la leggono mai.