Una column di Nicholas Kristof sul New York Times pone la questione del razzismo – tornata molto attuale negli Stati Uniti con i morti e le proteste di Ferguson – in altri termini, che mi sembrano validi ovunque: quelli della dose di razzismo che è di fatto presente nelle reazioni e nei pensieri di quasi chiunque, anche di coloro che negano di averli o che cercano di controllarli (differenza notevole: Kristof scrive soprattutto per prendersela con i primi, a me pare importante la consapevolezza dei secondi). Kristof spiega che indagini ed esperimenti hanno dimostrato che anche i più sinceramente antirazzisti di noi hanno comportamenti diversi quando nello stesso contesto hanno a che fare con persone bianche o nere (lui stesso tendeva a sparare più ai neri che ai bianchi, in un videogioco costruito apposta).
Research in the last couple of decades suggests that the problem is not so much overt racists. Rather, the larger problem is a broad swath of people who consider themselves enlightened, who intellectually believe in racial equality, who deplore discrimination, yet who harbor unconscious attitudes that result in discriminatory policies and behavior.
A me pare che anche qui ci sia una distinzione da fare: tra chi ha pensieri razzisti “che risultano in comportamenti e scelte discriminatori” e chi ha pensieri razzisti la cui diffusione e persistenza mantengono una cultura razzista generale. Quindi condivido l’idea che tutto questo sia un problema, mentre sono meno convinto della forma accusatoria con cui Kristof ne rimprovera i razzisti inconsapevoli (e quindi anche se stesso).
Yet an uncomfortable starting point is to understand that racial stereotyping remains ubiquitous, and that the challenge is not a small number of twisted white supremacists but something infinitely more subtle and complex: People who believe in equality but who act in ways that perpetuate bias and inequality.
Mi chiedo se anch’io sparerei di più ai neri, nel videogioco, dovrei provare: ma realizzo a volte le maggiori diffidenze di cui parla Kristof nel suo articolo, in alcuni contesti, cercando di controllarle e avendo persino reazioni eccessive in senso opposto. “Perpetuo il pregiudizio e l’ineguaglianza?”: io da solo forse no, ma se ci contiamo forse sì.
Nel mio piccolo ho una sorta di piccola crociata contro l’uso del termine “gay” come insulto scherzoso, proprio perché, pur “non volendo offendere nessuno”, ottiene esattamente il risultato di mantenere una cultura omofoba in generale.
Lo stesso vale per l’uso del termine “rabbino”, ma per fortuna non mi capita mail.
errata: l’ultima frase era “non mi capita mai.”
Ah! Ho sempre pensato che Tavecchio fosse un razzista nolente.
ma è un problema di razzismo o di percezione della differenza?
perchè mi sembra scontato che le differenze percepite anche inconsciamente portino a una griglia di scelte che privilegiano l’affinità
sono convintissimo che mi sentirei più affine ad un professore universitario negro che ad un analfabeta della vucciria
e inconsapevolmente farei scelte comportamentali coerenti con le affinità alla mia identità profonda
tutto questo porta a razzismo?
direi di no
i poveri sono molesti sotto ogni latitudine ma sono di mille razze
come i ricchi
possiamo parlare di discriminazione allora ma non di razzismo
che è una forma peculiare di discriminazione
ma non la esaurisce certo
se si è ossessionati (e con ragione) dal razzismo, non è che lo si vede anche dove c’è altro?
Che dire di tutti quei politici, giornalisti, lettori che definiscono superstizioni, stregonerie e simili
la cultura, la mentalità e l’atteggiamento delle popolazioni africane al tempo di Ebola?
“Che dire di tutti quei politici, giornalisti, lettori che definiscono superstizioni, stregonerie e simili
la cultura, la mentalità e l’atteggiamento delle popolazioni africane al tempo di Ebola?”
che hanno ragione
i pregiudizi antienpirici fanno male
sotto ogni latitudine
e sotto ogni latitudine vengono chiamate superstizioni, stregoneire e simili
ho esempi di circa trent’anni fa in famiglie sarde e piemontesi walser
@fp57
Che se le negano solo a priori commettono una sciocchezza.
E che dire di chi appartiene ad una popolazione africana e, al tempo di Ebola, attua comportamenti dannosi per chi ha riferimenti etici e morali diversi dai suoi?
1. non ho capito la prima frase
2. CHI definisce e stabilisce cosa è DANNOSO?
Finalmente qualcuno che sostiene la mia tesi!
Ogni volta che dico agli altri che sono razzista, e nel piccolo mondo che frenquento sembra una blasfemia, tutti mi rispondono: razzista? proprio tu? noooo tu che lavori con gli immigrati? dai, non sei credibile. Allora penso: boh, la solita iposcrisia tutta italiana, nello specifico di sinistra. Il fatto è che invece io rifletto molto sulle mie reazioni davanti alla diversità e più passa il tempo (sarà la vecchiaia o sarà la maturità, saranno le nuove condizioni sociali) più mi accorgo di avere pensieri razzisti. Ma visto e considerato che è da anni che mi muovo per lavorare nel sociale a contatto con gli immigrati io stessa non riesco a spiegarmi questa intolleranza velata, queste striscianti idee. L’unica risposta che sono riuscita a darmi è: la paura. Paura che la mia identità di cittadina italiana possa essere messa in discussione dall’affermarsi di nuove culture nel mio paese. Paura che la stessa identità degli italiani possa perdersi nel melange. Noi siamo stati nei secoli conquistatori e conquistati, ciò che ci sembra nuovo in realtà non lo è. Solo nell’ultimo secolo possiamo dire che ci sia stato un arrestarsi dei movimenti geopolitici, complici se vogliamo le paci più durature. Insomma, la natura dell’Italia non è di certo quella di un popolo “puro”. Ma siamo ancora vittime di un lavaggio del cervello fascista che così come nella diffusione della cultura machista ha influito notevolmente in quella della cultura razzista. Ora questo articolo porta anche una dimostrazione quasi scientifica.
Il punto secondo me è: quanto siamo consapevoli di questa forma di razzismo subdolo, che sembra avere quasi origini istintuali, e quanto siamo disposti a impegnare le nostre energie per tenerlo a bada attraverso un esercizio di intelletto costante? Questo mancato esercizio è alla base poi delle manifestazioni di razzismo “palese” e violento.
Scusate se sono stata logorroica, avevo una matassa da srotolare!
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@fp57
1)
L’idea è che solo un comportamento evidentemente dannoso può essere ritenuto sbagliato.
Se un giornalista ritiene erronea a priori l’etica e la morale di una popolazione sbaglia.
2)
In termini assoluri nessuno (il che è una fortuna essendo impossibile stabilire se un danno è assoluto). In termini relativi dipende:
in caso di dubbio, cioè quasi sempre, il senso comune.
Il razzismo è sempre presente nelle nostre menti, soprattutto l’ossessione del “non sembrare razzisti”:
“Several staff described their nervousness about identifying the ethnic origins of perpetrators for fear of being thought as racist; others remembered clear direction from their managers not to do so.”
http://www.bbc.com/news/uk-england-south-yorkshire-28939089
Ho due figli uno maschio uno femmina.
Uno maggiorenne l’altro appena teenager
Mi comporto diversamente con ognuno di loro.
Eppure lo so che su tante scelte e decisioni dovrei cercare di essere il più equo.
Non c’è niente da fare, quando mi trovo di fronte a loro, anche per questioni simili, il mio comportamento cambia.
Si tratta di una cosa che ha che fare con la teoria comportamentista.
di fronte a ambienti diversi il nostro modo di agire cambia.
Il fatto che succeda anche in presenza di persone di diverso colore (così come potrebbe capitare con persone che hanno diversità di varia natura) è entro certi limiti naturale.
Queste cose si superano con la consuetudine; quando la diversità è ordinaria, nessuno ci fa più caso.