Un pezzo del New Yorker sull’importanza della titolazione giornalistica mette per iscritto una cosa che in parte sappiamo e che ha conseguenze rilevantissime che però vorremmo rimuovere: ovvero che sono soprattutto i titoli degli articoli a influenzare la nostra percezione del loro contenuto e ciò che ne conserveremo. A prescindere dal maggiore approfondimento e articolazione che troveremo nell’articolo. E in un sistema come quello dell’informazione italiana corrente – in cui il tasso di ingannevolezza e inaccuratezza dei titoli è straordinariamente superiore a quello già alto degli articoli – questo significa che ciò che conserviamo in termini di conoscenza della realtà e degli eventi accaduti è una grandissima quota di informazioni false.
As a result of these shifts in perception, problems arise when a headline is ever so slightly misleading. “Air pollution now leading cause of lung cancer,” ran a headline last year in the U.K. paper Daily Express. The article, however, said no such thing, or, rather, not exactly. Instead, it reported that pollution was a leading “environmental” cause; other causes, like smoking, are still the main culprits. It is easy to understand a decision to run that sort of opening. Caveats don’t fit in single columns, and, once people are intrigued enough to read the story, they’ll get to the nuances just the same. But, as it turns out, reading the piece may not be enough to correct the headline’s misdirection.
La ricerca citata dall’articolo ci dice in sostanza che dopo aver sfogliato i giornali – che leggiamo gli articoli o no – ciò che ci resterà in termini di informazioni assunte saranno soprattutto quelle descritte dai titoli. Ora fate mente locale alla titolazione ordinaria dei giornali italiani, e non vi sentirete fiduciosi nella crescita di una democrazia informata.
It’s not always easy to be both interesting and accurate, but, as Ecker’s study shows, it’s better than being exciting and wrong.
Si, molto vero e molto logico, specialmente dopo averlo letto! E’ effettivamente un male generalizzato del giornalismo ma, tanto per essere polemico, i media della scuderia mediaset sembra conoscessero il fenomeno da una ventina di anni (od è stata l’indiscussa intelligenza comunicativa di B?). Certo è utopistico pretendere che i giornalisti prima di poter pubblicare sostengano dei corsi di gentilezza, correttezza e savoir faire!
Andrà sempre peggio. La logica dei social e delle 140 battute, cioè la “formazione culturale” dei sedicenti giornalisti presenti e futuri, abolisce i se e i ma, i nessi logici, insomma il ragionamento. Conta solo sparare qualcosa che sembri notizia e resti impressa proprio perchè elementare, direi scimmiesca. Ogni riferimento a politici e giornalisti è quasi casuale.
Io credo, invece, che il futuro non si così pessimo. Adesso – è vero – i titoli online e su carta fanno schifo. Ma con la progressiva migrazione al digitale, serviranno titoli migliori, più attenti alle necessità dei lettori e digeribili dagli algoritmi di Google e Facebook. Almeno sui titoli, un po’ di speranza, per favore :D
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