I piccoli editori non esistono

Quando leggete quelle dichiarazioni roboanti e sofferenti sul grave pericolo per la libertà e per la cultura determinato dall’operazione Mondadori-Rizzoli, che sembrano fotocopiate da quelle della settimana prima sul grave pericolo per la libertà e per la cultura determinato da una presunta legge bavaglio e prima ancora fotocopiate da quelle di qualche anno prima sul grave pericolo per la libertà e per la cultura determinato dalle pubblicità nei film, e un milione di altre fotocopie in mezzo, anche a voi capita di essere appena sfiorati da un soffio di indifferenza, da un senso di “al lupo al lupo” e da una meschina sensazione che la vita di nessuno dei promotori di quegli enfatici allarmi apocalittici sia mai stata impensierita nei fatti da nessuno di questi eventi?

A me capita, e mi forzo a rimuovere queste reazioni – o indifferenze – e a chiedermi: e se però qualcosa poi cambia davvero? Nella vita di qualcun altro? Se dietro alla minacciata fine del mondo ci fosse una fine di un pezzetto di mondo? Se la sensazione che questi allarmi parlino di piccoli privilegi personali coprisse in modo controproducente peggioramenti del bene comune, cioè – per non ricadere anch’io nel trombonismo: bene comune – delle vite di molti?

Voi direte: eh, ma quei proclami – vabbene, noiosi, apparentemente vuoti – infatti a un certo punto dicono “i lettori”, non hai letto? I diritti dei lettori, la libertà dei lettori, il futuro della cultura, che è una cosa di tutti.
E allora forse sono io, che ho dei tic goebbelsiani (o era Göring? Ho cercato, ecco), e che le cose bisogna spiegarmele in un altro modo. Farmele capire, come ai bambini: con le figure, o portandomi in gita scolastica. Nelle librerie.

A Milano c’è una libreria abbastanza nuova, di cui sentivo parlare bene da tanto, che vende soprattutto libri di piccoli editori: ma è in una zona dove ho abitato e ora non vado più, non l’avevo mai vista. Un giorno invece ero lì per un appuntamento e me la sono trovata davanti, un mese fa: sono entrato perché ero in anticipo, e ci sono stato una mezz’ora buona. Avevano decine e decine di libri nuovi e non nuovi che non avevo mai visto, né sapevo esistessero: e faccio un lavoro per cui le informazioni sui libri in uscita mi travolgono ogni giorno.
Come entrare nella libreria di un paese straniero.
Ora ne hanno aperta un’altra, dello stesso tipo, ci sono passato una sera a una presentazione – ne fanno un sacco -, e anche lì ho visto tanti libri sorprendenti. Case editrici mai sentite. Mica che dovessero essere capolavori, eh, ma né più né meno della varietà dei libri che vedo o di cui so di solito.

Io faccio questo lavoro, e ricevo molti libri. Poi ricevo molte mail di uffici stampa che mi dicono di nuovi libri. Poi leggo degli articoli e delle recensioni sui libri che escono, e vedo le pubblicità. E poi entro abbastanza spesso nelle librerie, quelle che mi trovo sul cammino: sono quasi sempre librerie di grandi catene, le più diffuse, o librerie maggiori di città. Prendete la Feltrinelli, la più importante, ricca, accogliente: sugli scaffali ed espositori all’entrata ci sono ormai solo libri Feltrinelli. Sui successivi ci sono quasi solo libri dei grandi gruppi: Feltrinelli, Mondadori, Rizzoli, Einaudi, poi gli altri.

Ecco, oggi, già prima dell’accordo Mondadori Rizzoli (case editrici che fanno bene ottimi libri, come tutte: non il nemico raccontato dagli stracciatori di vesti), non entra nel mio radar praticamente niente dei piccoli editori: solo qualcosa dei mediopiccoli che hanno le risorse per mandare i libri ai giornalisti, o comprare un po’ di spazio per un libro ogni tanto negli espositori delle grandi catene (e i giornali ne scrivono poco, per gli stessi meccanismi di risorse e selezione). Figuriamoci dopo.
È una questione di soldi e potere commerciale, ovviamente: il potere dei grandi gruppi, io, lo vedo così. È il mercato. Ho davanti solo i loro libri. Belli, spesso, mediamente confezionati in modo professionale, grandi autori: ma è come l’ipotesi del supercampionato a otto, rispetto alla Serie A con venti squadre. Ci si diverte di più, e poi capita la volta che il Verona vince il campionato, meritatamente. O che il Parma arriva secondo.

E allora mentre sono in una stazione che aspetto un treno, e vago nella Feltrinelli guardando le nuove uscite e non c’è un solo editore non famosissimo, e mi domando “ma i famosi piccoli editori esistono davvero? Perché qui non sembra”, penso che a me – non so alla cultura e alla libertà – piace il campionato a venti squadre. Ci si diverte di più.

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