L’annuncio di Prodi a favore del Sì al referendum è una mossa perfetta e degna di ammirazione, tra gli ammiratori della concretezza politica prodiana. Non soltanto perché, come hanno notato tutti, è stato fatto con una formulazione che adotta entrambe le posizioni (voto Sì, ma condivido le ragioni del No), e addirittura capisce che le posizioni più popolari non sono quelle “a favore” ma quelle “contro”: riesce quindi a dirsi allo stesso tempo contro lo schieramento del No (“la mia storia personale”, “le possibili conseguenze”) e contro Renzi e la sua “modesta” riforma, paragonando le alternative a “un osso e un bastone”. Mi fate un po’ schifo tutti è una linea sempre molto condivisa.
Ma Prodi ha fatto una cosa in più, decidendo di spendersi a quattro giorni dal referendum, con il No dato pubblicamente in vantaggio. In una partita da cui era escluso per forza di cose, è rientrato da protagonista investendo all’ultimo momento il suo peso su una squadra già data perdente, sapendo che quindi non potrà essere giudicato tra gli sconfitti: anzi, ne uscirà piuttosto come nobile soccorritore di una causa persa, malgrado fosse persa. Mentre invece se ne prenderà completamente la vittoria eventuale: è evidente ora che tra le letture a posteriori di una eventuale vittoria del Sì ci saranno “Prodi ha fatto la differenza”, “la rimonta negli ultimi giorni grazie a Prodi”, e i voti che Prodi ha spostato. Se sarà stato vero o no, non potrà dirlo nessuno.
Prodi queste cose le sa fare, e così si è guadagnato gran parte della sua popolarità, malgrado fino a oggi siano falliti i suoi progetti maggiori (l’Ulivo, fondato su una forzatura di corto respiro, come si vide; la Presidenza della Repubblica, in cui i molti nemici gli fecero pagare questa sua sapienza). Stavolta non ha niente da perdere, e gli è venuta perfetta, forse.
Facevo le stesse riflessioni ieri sera con mio padre e aggiungevamo come outcome favorevole a Prodi una vittoria del No che provochi danni all’economia nel breve periodo. Aveva pienamente ragione quel tale, di cui non rammento il nome, che dalle pagine di questo giornale notava quanto questo referendum non sia tanto sulla costituzione o il governo quanto sul futuro di una vecchia classe politica che è stata messa in disparte negli ultimi tempi.
Più che mossa perfetta, perfettamente democristiana. Forse. E con tutto il rispetto, anche.