Tendo a diffidare delle semplificazioni, quindi diffido anche della seguente. Ma è generica abbastanza da poter contenere declinazioni ed eccezioni.
L’approccio più diffuso, conformista e popolare alle cose, negli ultimi tempi è “mi fanno un po’ tutti schifo”/”mi fa un po’ tutto schifo”. Il suo successo ha diversi fattori: uno è che permette di sentirsi migliori, abbassando l’asticella intorno a sé e quindi cambiando l’universo di riferimento invece che se stessi (se il campionato intorno a me è di serie D, io non sono poi così male); un altro è una lettura del mondo del tutto deresponsabilizzante, facile, e accessibile a tutti. Fare le cose è impegnativo e richiede doti e qualità, sprezzarle viene gratis ed è a portata di chiunque senza sforzo, e internet poi ha aiutato tantissimo. Per questa ragione “mi fanno un po’ tutti schifo”/”mi fa un po’ tutto schifo” attecchisce non solo nelle nostre vite individuali ma anche sulla scala più grande delle imprese pubbliche, a cominciare da quelle della politica e dell’informazione. Basta che dite “mi fanno un po’ tutti schifo”/”mi fa un po’ tutto schifo” e avete garantito consenso, voti, copie vendute, pubblico, a sinistra come a destra, in alto come in basso. E potrebbe non esserci niente di male: abbiamo convenuto che funzionino così i due sistemi in cui viviamo, democrazie e mercati, ovvero intorno al consenso e alla domanda (nomi diversi per la stessa cosa).
Il problema è che se quella specifica domanda e quella logica di consenso diventano così universali e pressanti, è chiaro che potranno sempre essere soddisfatti solo da chi non ha nessuna responsabilità. Appena chiunque ne assuma una, non può più condividere il messaggio “mi fanno un po’ tutti schifo”/”mi fa un po’ tutto schifo”: perché i primi (“tutti”) sono diventati una minoranza, e il secondo (“tutto”) è diventato una sua responsabilità. Non puoi dire che fa tutto schifo se improvvisamente hai il potere di intervenire, se lo schifo dipende da te. Tanto è vero che Berlusconi (imitato da altri) si inventò la formula che “è colpa di quelli di prima”, per poterlo dire ancora un po’, ma non tanto credibilmente.
Poi devi invece per forza cominciare a dire “ehi, le cose stanno migliorando” e illuderti che il consenso si sposti intorno a questo nuovo messaggio, fondato o infondato che sia (solo i media vincono sempre conservando il vecchio messaggio, perché non si trovano mai nella condizione di responsabilità): ma il consenso non ti segue più, perché il messaggio vincente tra tutti noi è ancora quello di prima, per le ragioni dette. Ci vorrebbe che diventassimo la Norvegia, piena di soldi del petrolio e disabitata, o il Canada, lontanissimo dalle rotte dell’immigrazione ansiogena, per convincerci che le cose stanno andando davvero bene, rasserenarci, e sollevarci dal bisogno del “mi fanno un po’ tutti schifo”/”mi fa un po’ tutto schifo” (che pure ha le sue quote di attecchimento anche in Norvegia e in Canada). Forse la Germania è un po’ un’eccezione, soprattutto per salute economica di cui è in parte responsabile un governo, in parte una cultura nazionale, in parte un’industria vincente: ma un’eccezione molto precaria e minacciata.
Altrimenti, la contraddizione rende le democrazie ingovernabili, come regola generale: ottenere consenso e saper governare sono ormai due attitudini incompatibili, o sai fare una o sai fare l’altra. Ma diffidiamo delle semplificazioni, l’ho detto?
p.s. Poi ci sono altre questioni che escludono la possibilità di essere oggi un “presidente di successo”, come è stato scritto.