Sulla tenuta democratica

Effettivamente, non si è capito bene cosa volesse dire il ministro Minniti con la discussa frase sui presunti rischi per la “tenuta democratica del Paese” conseguenti a un momento di intensi ingressi di migranti in Italia. Però non si capiscono nemmeno le interpretazioni che l’hanno descritta con toni molto polemici come un’espressione razzista e di destra, implicando che si riferisse a un rapporto diretto di causa ed effetto: come se Minniti volesse intendere che i migranti scesi dai gommoni avrebbero abbattuto la democrazia, o instaurato un regime dittatoriale, asservendo tutti noi quaggiù sotto il loro dominio. Si può giudicarla una frase un po’ oscura, e forse eccessivamente drammatizzante e poco saggia, ma le polemiche sul fatto che sia un “inseguimento della destra” sembrano un po’ precipitose: la destra attacca l’immigrazione con argomenti accesi, ma che vanno dalle accuse di violenza, criminalità a quelle di ibridazione culturale a quelle di deperimento economico dei cittadini italiani, a quelle di contiguità col terrorismo, ma non ha mai pensato di sostenere che metta in pericolo la democrazia (anche perché per gli elettori della destra quello non è storicamente un argomento fortissimo).

C’è invece una più plausibile interpretazione delle parole di Minniti – intanto che aspettiamo che le chiarisca meglio lui – che ha un senso, ed è un senso essenziale e rilevante per un dibattito presente e futuro sul tema, prioritario in tutto il mondo, dell’immigrazione. Ed è quella per cui l’intensità degli arrivi di stranieri stia generando reazioni che – quelle sì – mettono a rischio in prospettiva “la tenuta democratica”. Mi pare sia indiscutibile che – sia nei singoli casi di violenza e fascismi, sia nelle inclinazioni di consenso politico di gran parte della popolazione verso partiti e leader assai poco appassionati alla democrazia – le reazioni contro l’immigrazione qualche preoccupazione ce la stanno mettendo. Se Matteo Salvini andasse al governo – e di certo più immigrati arrivano più le sue chances aumentano, piaccia o no – la frase “temo per la tenuta democratica del Paese” non suonerebbe tanto di destra, converrete.

E il tema è questo, quindi. Riprendo una cosa di due mesi fa.

Attenendosi ai principi, paradossalmente, i risultati possono essere peggiori fino a che non sono condivisi a sufficienza.
È quello che sta succedendo in molte parti del mondo: le politiche basate anche molto parzialmente sul buon principio enunciato sopra hanno generato delle migrazioni che tantissime persone in molte parti del mondo hanno vissuto come inaccettabili, pericolose, paurose. Quelle persone hanno quasi sempre torto, o sono molto egoiste: ma i fatti sono questi, e sono estesi abbastanza da non poterli sopravvalutare. Il risultato sono stati movimenti xenofobi in crescita di consensi, arrivati vicini al potere, presidenti degli Stati Uniti eletti perché annunciano muri, Regni Uniti che escono dall’Europa, razzismi sdoganati da leader politici furbastri, violenze e discriminazioni eseguite e quotidiane. Con conseguenze pericolose e controproducenti per molti degli stessi migranti e per i loro futuri. Molte analisi sostengono che i peggiori scenari di cui discute in questi anni il mondo abbiano come fattore rilevantissimo o prioritario le migrazioni. Insomma, qualcosa non sta funzionando, a dir poco.

L’equivoco che molti benintenzionati progressisti mi sembrano trascurare è quello per cui una cosa giusta possa sempre essere imposta in maniera vittoriosa e definitiva. È invece chiaro che modi giusti e civili di accogliere i migranti e di considerarli persone come le altre si scontrano contro culture ignoranti e grette e strumentalizzazioni politiche di queste ignoranze o di altre debolezze umane, e ne alimentano involontariamente i tratti peggiori. Negli Stati Uniti se ne è raggiunto il risultato paradossale di un paese costruito sull’immigrazione e sulla sua tolleranza che ha eletto un presidente che annunciava di volerla reprimere. Gli effetti collaterali di politiche di accoglienza non sufficientemente accompagnate da scelte di azione e comunicazione sociale e politica possono prendere dimensioni enormi – backfire – a danno sia dei principi stessi che le muovono che delle persone che vorrebbero proteggere. Pensare di imporle con la forza democratica di un governo è giusto in teoria, ma non è necessariamente efficace, anzi.

L’equivoco – fatte le dovute proporzioni – somiglia a quello di chi pensò di poter “esportare la democrazia” solo con la forza militare: esportare la democrazia è un’ottima idea e intenzione, ma devi convincere i tuoi interlocutori, non imporgliela. Non perché sia sbagliato – imporre cose buone è spesso giusto, succede con le regole e le leggi – ma perché non funziona, se il contesto è molto avverso. Ed è strano che chi contestò allora quella pretesa oggi non metta qualche riflessione ai simili problemi che sta generando – in Italia e nel mondo – la buona intenzione di “esportare l’accoglienza” presso parti dei cittadini che la rifiutano.

Questo vuol dire che si deve “inseguire la destra” e abbandonare i principi dell’accoglienza e la consapevolezza che le migrazioni sono una realtà indiscutibile? Non siamo così scemi da dover rispondere a questa domanda (ma l’ho scritta, perché alcuni sono così scemi da farla, temo). Quello che dobbiamo fare è avere presente – e non lo abbiamo avuto molto, in passato, in buona fede – che abbiamo due ordini di questioni da affrontare, che così indicherei: l’arrivo in Italia di molti migranti e l’arrivo in Italia di molti migranti. Gli interlocutori delle due questioni sono due e diversi: i migranti e gli italiani, tutti quanti. Se si trascurano i primi, vincono i razzisti e fascisti; se si trascurano i secondi (pure quelli nel torto), vincono i razzisti e fascisti.
E c’è da temere “per la tenuta democratica”.

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