Volevo scrivere una cosa lunga sui tempi che corrono, che costringono a riflessioni lunghe, ma l’ho cominciata ed è diventata molto lunga e boh. Quindi per ora metto qui una semplificazione molto parziale di uno dei suoi punti, di cui si vedono dimostrazioni ogni minuto.
Il modo corrente di intendere la politica e l’idea del futuro da parte sia dei politici che delle persone normali conosce due estremi (ripeto, due estremi): quello che dà priorità all’idea del bene comune e per il quale ogni progetto vuole potenzialmente coinvolgere tutti e migliorare le vite di tutti, o di più persone possibile, e insomma di distribuire il bene; e quello che dà priorità all’individuazione di nemici, avversari, colpevoli, cattivi, responsabili – sia come via alla risoluzione dei problemi che come obiettivo fine a se stesso – e dedica le sue passioni e scelte alla loro persecuzione, mirando insomma a punire e reprimere il male.
Il primo è in teoria disposto – anzi ne sarebbe felice – a condividere i suoi successi con tutti, fino a trascurare le punizioni del male; il secondo è in pratica dedicato persino a sacrificare parte del bene comune – persino il proprio – per ottenere la punizione del male (della sua idea di male, naturalmente). (non vi sembri così esagerato: l’uso corrente delle carceri esprime esattamente questo meccanismo).
Il primo approccio è figlio di un’idea ottimista che immagina l’umanità in costante progresso, una curva che piano piano si può avvicinare a un asintoto di perfezione (non lo raggiungerà mai, è un asintoto, ma si può avvicinare ogni giorno un po’), e quindi è frustrato dalle imperfezioni, dai fallimenti, dai passi indietro, da ogni piccola cosa che potrebbe funzionare meglio. Il secondo approccio è figlio di un’idea più realista e a volte cinica per cui l’umanità è in sua buona parte bestiale e mediocre e inemendabile, e bisogna approfittare di quel che ha di buono e ridurre il danno. Il primo ha un progetto “educativo”, il secondo ha un progetto conservativo e correttivo/repressivo.
Stiamo insomma parlando di progressisti e conservatori, ma che nella declinazione di questi decenni non corrispondono più sempre a sinistra e destra, e si distinguono soprattutto per la ricerca o meno di nemici e capri espiatori e il desiderio grande o piccolo del male altrui e la capacità di tenerlo a bada (trascuro qui di discutere le dinamiche psicologiche, rassicuranti e autoassolutorie che concorrono a questi approcci, ma naturalmente sono rilevanti).
Gli umani ottengono i più grandi risultati sociali e civili quando si sentono orgogliosamente e lucidamente parte di una stessa cosa con altri umani, e condividono mezzi e obiettivi, per ragioni sia pratiche che emotive: i grandi sentimenti nazionali e i loro successi sono il prodotto della capacità di estendere artificialmente questo sentimento oltre l’amore di coppia, oltre la famiglia, oltre la squadra di calcetto, oltre l’assemblea dei genitori, oltre la curva dello stadio, oltre i fans al concerto, oltre il campanile, fino a un paese intero (figuriamoci portarlo al mondo intero). Ma sono fortissimi motori – e spesso complementari: vedi il nazionalismo sciovinista e razzista – anche i sentimenti opposti di distanza, inimicizia, diversità, disprezzo e odio, per gli altri. Di questi tempi, di più, ho l’impressione: o almeno che siano più legittimati e incentivati.
Preferiamo che i cattivi siano meno o che siano puniti? Ci servono più amici o più nemici? Tollereremmo che fosse premiato anche chi disprezziamo, in un paese un po’ migliore per tutti? Riusciamo a giudicare fatti e discorsi in modo obiettivo e lucido, ignorandone gli autori? In molti non sappiamo più neanche risponderci sinceramente, credo.
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