Giovedì su Repubblica c’era un’intervista molto bella di Omero Ciai ad Alicia Giménez Bartlett, scrittrice spagnola di grande successo internazionale (in Italia la pubblica Sellerio), a proposito delle questioni catalane di queste settimane. Ma l’intervista è bella perché le risposte si estendono a molti altri temi contemporanei e suoneranno familiari a molti di voi come suonano a me, e ne incollo qui un paio.
credo che le ragioni di questo fenomeno siano almeno tre. La prima è che si tratta di una generazione che ha fatto tutta la scuola con il catalano come prima lingua. E con un indottrinamento ideologico abbastanza importante. Sono convinti che la Catalogna sia il centro del mondo. Un’altra ragione è che hanno lavori precari e malpagati o sono disoccupati. E l’indipendenza è un’idea sovversiva contro un sistema che li ha emarginati. L’indipendenza regala loro una via d’uscita da questa rabbia, dal sentirsi ingannati. E alla fine aggiungerei, come terza ragione, il bisogno di vivere, come generazione, una esperienza politica importante. Un’utopia. Hanno bisogno che accada qualcosa di epico nella loro vita come accadde nella nostra quando lottavamo contro la dittatura
(le seconde due ragioni citate da Giménez Bartlett, vedete, sono molto universali come fattori di cambiamenti indirizzati male; con qualche rilevante variazione, rischia di diventarlo anche la prima)
Penso che avevano molte ragioni ma le hanno perdute radicalizzandosi. Soprattutto perché hanno giocato sui sentimenti delle persone. Stiamo perdendo la razionalità nell’affrontare le situazioni. Essere razionali è considerato freddo e cinico e si dà spazio alle passioni. Ma si vota con la testa non con il cuore. Succede anche con i programmi tv: è pieno di gente che piange. Quando vedo qualcuno che piange mi viene voglia di schiaffeggiarlo. Non si può sempre cedere ai sentimenti