I risultati

C’è un editoriale sull’ultimo Economist che si domanda domande sensate sull’immigrazione, e che stamattina Claudio Cerasa ha ben riassunto e spiegato sul Foglio.

Lo spunto di riflessione ce lo offre un bellissimo editoriale pubblicato sull’ultimo numero dell’Economist che con un linguaggio asciutto e chiaro inquadra una questione che potremmo provare a sintetizzare così: la ragione per cui un numero sempre maggiore di persone subisce il fascino dei Salvini, dei Kurz e degli Orbán è che allo stato attuale contro la retorica pericolosa veicolata dal messaggio “stop all’immigrazione” viene utilizzata un’altra retorica altrettanto pericolosa che è quella veicolata dal messaggio “accogliamoli tutti”. E il punto dunque è più o meno questo: quale può essere una via di buon senso europea da seguire sull’immigrazione per non farsi inghiottire da due simmetrici estremismi che non fanno altro che alimentare il sentimento della paura?
[…] Non è semplice, non è scontato, non è facile ma per respingere gli estremisti, e tutti coloro che come Salvini e Orbán vogliono usare la lotta contro l’immigrazione solo per sfasciare l’Europa, prima o poi bisognerà passare da qui: da una terza via tra gli estremisti della paura e gli estremismi umanitari.

L’Economist e Cerasa elencano una serie di misure e approcci concreti per applicare questa riflessione. Per spiegare meglio la riflessione, riprendo e collego due post che avevo scritto l’anno scorso.

Il tema di come si gestisce l’immigrazione ha molte implicazioni e questioni pratiche e reali – e queste sono le cose su cui bisognerebbe discutere e riflettere – ma all’origine è determinato da un’alternativa di approccio di principio. Due pensieri agli estremi, che per me sono entrambi nobili e legittimi, se sinceri.

Uno è quello che ritiene che nessuno di noi sette miliardi abbia nessun diritto in più degli altri di vivere e muoversi in ogni luogo del mondo, se rispetta le regole condivise in quei luoghi. E che agli italiani – per fare un esempio – sia capitata la fortuna di nascere in un paese piuttosto ricco, democratico e sicuro: ed è una fortuna, non un diritto, quasi tutti noi non abbiamo fatto niente per rivendicarne il merito o le pretese. Potevamo nascere in Corea del Nord o in Nigeria o in Siria. E da questa opinione – piuttosto fondata, direi – discende che nessuno abbia il diritto di tenere fuori da qualunque pubblico metro quadro d’Italia nessuno, e che ogni umano che lo occupi debba avere gli stessi diritti (volendo, se parliamo di cosa è “giusto”, sarebbe persino più giusto che della sanità pubblica italiana beneficiasse ora per un po’ un signore del Sudan, al posto mio).

Il secondo approccio è quello di chi ritiene che si debbano avere degli obiettivi pragmatici e realistici e una visione lungimirante per il bene di tutti gli umani di cui sopra. È un approccio diffuso in molti contesti, che prende atto delle condizioni di fatto non modificabili a breve e ci fa i conti per ottenere il meglio (tempo fa sempre sul Foglio Carlo Cottarelli lo aveva spiegato con l’esempio delle corsie in autostrada: gli italiani non staranno mai su quella più a destra, quindi prendiamone atto e autorizziamo il sorpasso a destra) nei fatti anche scendendo a compromessi sui principi. Perché attenendosi ai principi, paradossalmente, i risultati possono essere peggiori fino a che non sono condivisi a sufficienza.
È quello che sta succedendo in molte parti del mondo: le politiche basate anche molto parzialmente sul buon principio enunciato sopra hanno generato delle migrazioni che tantissime persone in molte parti del mondo hanno vissuto come inaccettabili, pericolose, paurose. Quelle persone hanno quasi sempre torto, o sono molto egoiste: ma i fatti sono questi, e sono estesi abbastanza da non poterli sopravvalutare. Il risultato sono stati movimenti xenofobi in crescita di consensi, arrivati vicini al potere, presidenti degli Stati Uniti eletti perché annunciano muri, Regni Uniti che escono dall’Europa, razzismi sdoganati da leader politici furbastri, violenze e discriminazioni eseguite e quotidiane. Con conseguenze pericolose e controproducenti per molti degli stessi migranti e per i loro futuri. Molte analisi sostengono che i peggiori scenari di cui discute in questi anni il mondo abbiano come fattore rilevantissimo o prioritario le migrazioni. Insomma, qualcosa non sta funzionando, a dir poco.

Ripeto, le persone che pensano l’una o l’altra cosa hanno buone ragioni, eventualmente discutibili ma benintenzionate. Ma la quasi totalità di noi – parlo dei buoni, non pensate a Salvini – si pone in un punto variabile tra l’uno e l’altro estremo: cercando di trovare una sintesi alle molte contraddizioni di una questione che è semplice solo se si deve dire da che parte si sta di una linea. Qui la linea non c’è – le linee non ci sono quasi mai – c’è una questione mondiale ed epocale.

Ed è per questo che a sinistra sarebbe importante capire come si possa prendere in considerazione il secondo approccio non dimenticando il primo. Quando Minniti disse quella cosa sui pericoli per la “tenuta democratica” seguenti agli arrivi di grandi numeri di immigrati, prevalse lo strepitare degli stolti. Ma c’era invece una più plausibile interpretazione delle parole di Minniti che ha un senso, ed è un senso essenziale e rilevante per un dibattito presente e futuro sul tema, prioritario in tutto il mondo, dell’immigrazione. Ed è quella per cui l’intensità degli arrivi di stranieri stesse generando reazioni che – quelle sì – mettono a rischio in prospettiva “la tenuta democratica”. Mi pare sia indiscutibile che – sia nei singoli casi di violenza e fascismi, sia nelle inclinazioni di consenso politico di gran parte della popolazione verso partiti e leader assai poco appassionati alla democrazia – le reazioni contro l’immigrazione qualche preoccupazione ce la stanno mettendo. E ora che Matteo Salvini è al governo – e di certo gli arrivi degli immigrati lo hanno aiutato, loro malgrado – e tira l’aria che tira, la frase “temo per la tenuta democratica del Paese” non suona più tanto strana, converrete.

L’equivoco che molti benintenzionati progressisti mi sembrano trascurare è quello per cui una cosa giusta possa sempre essere imposta in maniera vittoriosa e definitiva. È invece chiaro che modi giusti e civili di accogliere i migranti e di considerarli persone come le altre si scontrano contro culture ignoranti e grette e strumentalizzazioni politiche di queste ignoranze o di altre debolezze umane, e ne alimentano involontariamente i tratti peggiori. Negli Stati Uniti se ne è raggiunto il risultato paradossale di un paese costruito sull’immigrazione e sulla sua tolleranza che ha eletto un presidente che annunciava di volerla reprimere. Gli effetti collaterali di politiche di accoglienza non sufficientemente accompagnate da scelte di azione e comunicazione sociale e politica possono prendere dimensioni enormi – backfire – a danno sia dei principi stessi che le muovono che delle persone che vorrebbero proteggere. Pensare di imporle con la forza democratica di un governo è giusto in teoria, ma non è necessariamente efficace, anzi.

L’equivoco – fatte le dovute proporzioni – somiglia a quello di chi pensò di poter “esportare la democrazia” solo con la forza militare: esportare la democrazia è un’ottima idea e intenzione, ma devi convincere i tuoi interlocutori, non imporgliela. Non perché sia sbagliato – imporre cose buone è spesso giusto, succede con le regole e le leggi – ma perché non funziona, se il contesto è molto avverso. Ed è strano che chi contestò allora quella pretesa oggi non metta qualche riflessione ai simili problemi che sta generando – in Italia e nel mondo – la buona intenzione di “esportare l’accoglienza” presso parti dei cittadini che la rifiutano.

Questo vuol dire che si deve “inseguire la destra” e abbandonare i principi dell’accoglienza e la consapevolezza che le migrazioni sono una realtà indiscutibile? Non siamo così scemi da dover rispondere a questa domanda (ma l’ho scritta, perché alcuni sono così scemi da farla, temo). Quello che dobbiamo fare è avere presente – e non lo abbiamo avuto molto, in passato, in buona fede – che abbiamo due ordini di questioni da affrontare, che così indicherei: l’arrivo in Italia di molti migranti e l’arrivo in Italia di molti migranti. Gli interlocutori delle due questioni sono due e diversi: i migranti e gli italiani, tutti quanti. Se si trascurano i primi, vincono i razzisti e fascisti; se si trascurano i secondi (pure quelli nel torto), vincono i razzisti e fascisti. E c’è da temere “per la tenuta democratica”.

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