A gioco fermo

Lasciatemi riassumere bene: una delle cose di cui non teniamo abbastanza conto è che il Game è un habitat molto difficile, che offre intensità in cambio di sicurezza, genera diseguaglianze e non è adatto a un sacco di gente, che pure vi abita. Aggiungete il fatto che la gran parte delle istituzioni pubbliche, prima fra tutte la scuola, non prepara al Game, non allena le capacità utili a vivere nel Game, non aiuta i meno adatti ad abitare il Game. A essere generosi, le istituzioni preparano a vivere in un brillante mondo novecentesco post-bellico e democratico: non certo nel Game. E allora iniziate a capire perché cosí tanta gente, oggi, sia in difficoltà e come si stia spalancando di nuovo una forbice sproporzionata tra élite e gli altri, tra ricchi e poveri, tra inclusi ed esclusi

In un certo senso questo precetto andrebbe allargato anche alle altre istituzioni per adesso lasciate tranquille dall’insurrezione digitale e quindi rimaste placide nel loro letargo: prima fra tutte la scuola. È pensabile che anche lí il problema sia la fissità, le strutture permanenti, la scansione novecentesca dei tempi, degli spazi e delle persone. Magari andrà avanti cosí ancora per decenni: ma certo che il giorno in cui a qualcuno verrà in mente di rinnovare un po’ i locali, le prime cose che andranno al macero, dritte dritte, saranno la classe, la materia, l’insegnante di una materia, l’anno scolastico, l’esame. Strutture monolitiche che vanno contro ogni inclinazione del Game. Fidatevi, andrà tutto al macero.

Una delle poche cose non riuscite, nel libro di Baricco che racconta cosa è cambiato nei nostri mondi e nelle nostre teste dall’inizio della “rivoluzione digitale”, è il titolo: “The game” è una formula che – senza avere l’originalità di un’invenzione nuova per definire una cosa che non aveva nome – fa pensare a puntate di “Black mirror” o a prodotti narrativi infantilizzanti o fantascientifici, mentre invece il racconto qui è quello di una realtà molto presente, concreta, quotidiana, che conosciamo e vediamo. È un libro di Storia.
Lo dico – del libro cercherò il tempo di dire altre cose, è prezioso – perché anche nei due passaggi qui sopra l’espressione “il game” rischia di fuorviare e diminuire un ragionamento molto presente e impressionante, quello sulla scuola: e vi suggerisco di non farvene fuorviare. Baricco dice invece una cosa palese e devastante per le nostre società, ovvero che la scuola così com’è appartiene a un’altra era, a un’altra civiltà, ad altre vite. Non c’entra niente col mondo fuori, con quello che i ragazzi vivono e vivranno nelle loro vite. Se ci pensate, è molto peggio che discutere della “crisi della democrazia”: se è come dice Baricco, siamo spacciati, e non ci stiamo facendo niente.

È che non ci pensate. Ed è come dice Baricco.
Ieri sono stato a un Consiglio di Classe: è stato come entrare in una bolla spaziotemporale che mi ha portato altrove. Un altrove pure confortante, rilassante, per uno che ci passa un’ora da genitore e lo vive come estraneo, una pausa nella contemporaneità. Ma un altrove schizofrenico e spiazzante per chi ci debba costruire ogni giorno quello che diventerà, il modo in cui starà nel mondo. Ma figuriamoci se voglio parlare della scuola a partire dalle sensazioni sbrigative di un’ora di Consiglio di Classe: la scuola è quello che sapete e conoscete, ed è quello che dice Baricco. Il massimo dell’obiezione che molti adulti fanno al suo anacronismo e distacco “novecentesco” dal presente è che “è giusto così”, e trovano rassicurante che qualcosa li ancori tuttora a un tempo che sentono più familiare e che non c’è più. Che è come pensare che insegnare a cacciare i mammut possa dare ai ragazzi quelle solide basi, quella strutturazione, che la società rammollita e placida di oggi non riesce più a fornire.
C’è una buona similitudine – lui è bravo, in queste cose – a un certo punto nel libro di Baricco: molte persone, enti, istituzioni continuano a funzionare in modi inutili, estranei a quello che è successo loro intorno, sterili, ignari; sono come quei calciatori che segnano anche se l’arbitro ha fischiato ma loro non se ne sono accorti ed esultano come se niente fosse per qualche secondo prima di capire che tutto intorno il gioco era fermo, gli altri già intenti ad altro.

La scuola, per dire, segna a gioco fermo ogni volta che apre le porte al mattino, ne siamo consapevoli, vero?

Comunque, il tema della scuola è troppo complesso e articolato perché abbia senso una mia opinione spiccia di qualche paragrafo, a sua volta confusa e piena di dubbi. Il punto che mi sembra incredibile è che l’abbiamo rimosso, questo tema, spazzato sotto il tappeto, fuori dalle priorità (un po’ come il carcere, interessante similitudine): che la cosa che dice Baricco lui stesso la dice en passant, in poche righe e in due o tre occasioni, e la diamo tutti per scontata. Rispetto al fatto che la base della costruzione delle persone nelle nostre civiltà sia rimasta in un altro mondo, pensiamo di non poterci fare niente. La scuola è novecentesca, gli studenti sono millennials, e noi siamo inermi.

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