In appendice a un passaggio del post di ieri (“credo che le bullaggini di Di Maio per i giornali siano solo benvenuta pubblicità e alibi al vittimismo autopromozionale”), cito la divertente versione che ne dà oggi Michele Serra, sollevando tutti con leggerezza dagli eccessi di tromboneria.
Tra le categorie depresse dalla rivoluzione tecnologica, i giornalisti hanno l’enorme vantaggio di poter contare sulla formidabile pubblicità (gratuita) prodotta dagli attacchi di despoti, capipopolo e politicanti di vario calibro. Ecco che, di colpo, non solo l’inviato di guerra o il cronista di mafia (che per lavoro corrono un rischio reale), ma il placido redattore sportivo, il notista di costume, l’esperto di Borsa, il critico cinematografico, addirittura il corsivista da scrivania oramai gottoso per la lunga inattività fisica (eccomi), si sentono di colpo promossi al rango romanzesco, eroico, di “nemico del popolo”, che è la dicitura oggi corrente per dire oppositore del governo.
Si ringiovanisce, ci si risente utili e pimpanti anche a dispetto del logorio della routine, si redigono le poche o molte righe quotidiane con l’entusiasmo del veterano richiamato al fronte. Ci si riteneva ormai reperti, come il torchio di Gutenberg, e invece ci si ritrova in animoso cimento, come personaggi di Dumas padre.
(per leggerla fino alla fine abbonatevi a Rep, quello sì che è giusto chiederlo)