In mezzo alle tante cose sventate dette e sostenute intorno alla morte di Stefano Cucchi e alle indagini sulle circostanze di quella morte, ce n’è una su cui vale la pena dire due cose, perché ricorre in occasioni diverse ed è apparentemente convincente quanto ingannevole: ed è che i fatti dimostrino che “il sistema funziona” perché alla fine la verità emerge, le responsabilità vengono individuate, le “mele marce” si rivelano tali e soprusi, violazioni e reati finiscono per essere svelati. Insomma, il sistema di perseguimento dei reati, investigazione e amministrazione della giustizia funziona e prevale.
È un argomento, dicevo, che ricorre spesso in contesti diversi: quello più frequente è quello dei veri “errori giudiziari” (che spesso non sono esattamente “errori”) quando vengono scoperti, corretti, annullati. In quei casi, qualcuno dentro o fuori dalla magistratura annuncia che quello a cui si è assistito non è un fallimento del sistema, ma la dimostrazione del suo funzionamento con la capacità di individuare ed emendare i propri errori.
Naturalmente, è facile far notare che l’annullamento di quegli “errori” non annulla le loro conseguenze sulle vite di chi ne è stato vittima. Ma il punto non è tanto questo: punto a cui si risponde di solito che una quota di errore è inevitabile (soprassiedo su questa risposta).
Il punto è che quello che ci viene rivelato in questi casi non è un errore individuato, una colpa smascherata, un sopruso svelato: quello che ci viene rivelato è l’esistenza certa di altri dieci, cento, mille, casi del genere che non sono stati individuati, smascherati, svelati. Cucchi è un’eccezione, ma in questo senso: è la storia che oggi conosciamo, a differenza delle altre. Quello che ci viene rivelato è un atteggiamento (violenza, prepotenza, incoscienza nei confronti delle vite altrui, cialtroneria, omertà) che chiaramente non si può essere manifestato solo quella volta lì, e pensa un po’ l’abbiamo puntualmente scoperta. Chi picchia gli arrestati, chi mostra disprezzo per le persone, chi nasconde la verità, chi fa prevalere altro sulla ricerca della verità, chi fa di tutto per mantenere il proprio partito preso a costo di tragedie, nelle caserme, nei tribunali, nelle carceri, nei luoghi chiusi della gestione di sicurezza e giustizia, non lo fa una sola volta, tutto da solo, contorcendosi dal tormento e giurandosi “non lo farò mai più” in un’autocritica dolorosa, prima di correre a mettere rimedio a quello che ha fatto. Ma quando mai. È quello che sono queste persone, queste culture, questi apparati, questi luoghi, a doverci preoccupare quando si svelano queste storie: non solo le singole storie.
Il sistema funziona? Meglio che nel Cile degli anni Settanta, sì: dice il caso Cucchi.