Dirò ben due cose in difesa di Marco Travaglio, mi costa poco, le ho dette molte altre volte: la prima è che non ogni scelta editoriale fatta da chi ha il legittimo potere di scelte editoriali è “censura”, a meno che con censura non si intenda qualunque scelta editoriale. Chi ha ruoli di responsabilità nei giornali, nelle reti televisive, nelle case editrici, nelle società di produzione, nelle librerie, chi ha un’edicola dei giornali, chi cresce dei bambini: in qualunque sede dove si producono o distribuiscono contenuti vengono eliminate e cambiate cose ogni giorno, ed è una parte importante e preziosa del mandato e delle qualità di chi ha quei ruoli.
La seconda è che la “satira” non è una specie di terra di nessuno libera da qualunque regola e criterio. Non esiste niente al mondo che sia libero da qualunque regola e criterio, grazie al cielo: la stessa libertà l’abbiamo definita mille volte come valida solo se ha dei limiti di fronte ad altre libertà. La storia della satira “libera” in quanto tale ed esente da giudizi, rispetto, rischi, interventi, sanzioni, è una balla applicata di volta in volta da ognuno a seconda della satira in questione, oppure applicata sempre dai satiri di professione, e si può capire perché. E chiunque si indigni o scandalizzi per una vignetta “censurata” avrà un momento nella vita in cui si indignerà o scandalizzerà per una vignetta, che fa male a qualcuno o qualcosa che in quel caso secondo lui non lo merita.
L’elusione sistematica di questi due concetti è una grande nuvola di fuffa retorica che circola strumentalmente oppure per scarsa inclinazione a riflettere: una nuvola di “vergogna, censura!” e “ma è satira!” che nasconde stupidamente dietro parole vaghe e generiche questioni e contesti vari e complessi. E quindi – in un testo imbarazzante per contraddizioni e arrampicamenti, ma soprassediamo qui – Travaglio ha ragione a dire che lui è il direttore del Fatto e se qualcosa gli sembra sbagliato ha tutto il diritto e tutte le ragioni per non pubblicarlo sul Fatto, che sia satira o no, e questo non è nessuna “censura”.
Bene, questo giorno doveva venire anche per calcolo probabilistico.
Poi c’è quel dettaglio che per decenni (e per decenni a venire, vedrete) lo stesso direttore del Fatto è andato aizzando ingenui contro le “censure” – così le chiamava, censure – e contro chi “attaccava la satira” – difendendo la sua per prima – quando questa era giudicata, eliminata, denunciata. E per decenni ci ha costruito la propria ricca e potente carriera di demagogo-coi-calembour, ci ha costruito un giornale guida del forcaiolismo e di questi tempi, ha concorso estesamente alla rovina attuale dell’Italia e di diversi italiani, e adesso che lui è “il potere” – lo è il suo potente giornale, lo è il potente partito che spalleggia, e per complicità col quale ha “scelto” di non pubblicare Vauro, la cui vignetta peraltro era innocua e pure fondata, stavolta -, e adesso che lui è “il potere” scopre che in quel momento lì c’è qualcuno che viene da te col forcone che gli hai insegnato a usare (sta succedendo quasi letteralmente).
Sarebbe una lezione da imparare, a essere mai stati capaci di imparare delle lezioni.