Ogni volta che qualche politico importante del M5S – e succede praticamente ogni giorno – scrive o dice qualcosa inciampando in catastrofi linguistiche o culturali, si diffonde comprensibilmente un tumulto di derisioni, condivisioni online, battute, scoramenti e darsi di gomito, che suona unanime come “vedi come sono ignoranti!”, con un’idea umiliante e irridente dell’ignoranza.
È normale, e pure giusto: il sottotesto è “non sanno le cose elementari e pensano di saper governare l’Italia”. Ma c’è anche un altro sottotesto possibile, inverso, che è “l’Italia – noi, quindi – sta producendo questa ignoranza”. Voglio dire che non è solo che abbiamo preso gli asini, i più scemi della classe quando eravamo alle medie, e li abbiamo incaricati di pensarci loro: ma è anche palese che la quota di asini e di scemi della classe alle medie stia salendo, e che il problema non sia quindi solo di chi votiamo, ma anche di chi educhiamo. Sono abbastanza convinto che la frase di Di Maio sulla “democrazia millenaria” francese non suonasse così immediatamente assurda e comica a molte persone, e che a molte persone sia stata spiegata poco o male da chi l’ha segnalata sui giornali o commentata online.
Ma c’è un’altra cosa che mi sembra fuori mira, nelle reazioni. Prendiamo la “democrazia millenaria”, oppure la puntata di ieri, in cui la candidata grillina in Abruzzo ha comunicato che “la politica del clientelismo e del servilismo, unito ad una buona dose di ignoranza, ha avuto la migliore” (correzione successiva: quel messaggio veniva da una pagina di sostenitori del M5S). Si tende in questi casi appunto a sottolineare l’ignoranza della storia, della geografia (Pinochet e il Venezuela), dell’italiano: perché sono terreni di derisione e competizione su cui ci possiamo cimentare tutti e con regole difficili da mettere in discussione.
Ma se scrivi in una lettera a un grande quotidiano che il paese di quel quotidiano ha una “democrazia millenaria”, il problema non è che sei ignorante della storia, ma che sei un cretino: sei uno che per esprimersi e comunicare un concetto diplomatico in una situazione delicata, e mentre vuol fare bella figura con i lettori di un grande quotidiano, non ha l’attenzione e la capacità di valutazione necessarie a riflettere sul senso delle parole e a scegliere quelle giuste. Sei uno che fa le cose male, e così male che ti si ritorcono contro. “Democrazia millenaria”, per Di Maio – che l’abbia scritta lui o che l’abbia letta e avallata – voleva essere evidentemente un modo per dire “una gran democrazia”: il problema non è che non abbia fatto i conti di quanto tempo sia passato da quando c’è una democrazia (in Francia o altrove), il problema secondo me è che non abbia nemmeno riflettuto su cosa voglia dire “millenaria” e questo sia un esempio di un approccio universale alle cose. Ovvero non rifletterci, non avere consapevolezza di cosa si sta facendo.
E questa è una questione di intelligenza, non di ignoranza. E non voglio offendere nessuno né segnare punticini o esibire spocchie, che lo si fa già abbastanza, e sterilmente: la mia è una valutazione tecnica, logica.
Ora, i sostenitori di questo genere di classe politica possono anche – lo fanno ogni giorno – sostenere che la cultura non sia importante per governare, e che si possa governare da ignoranti, e rivendicare anzi l’ignoranza, propria e di chi eleggono (“sono come me che non so le cose”). Ma quando cominceranno a dover dire che non sia importante l’intelligenza, e che si può governare da cretini, e rivendicare anzi la poca intelligenza (“sono come me che sono scemo”), saranno disposti anche a quello?
Non è escluso, eh.