La strategia dell’opossum

Come tutte le elezioni locali, ci vuole sempre prudenza a commentarle complessivamente: hanno mille variabili e contesti che distinguono e spiegano ciascuna, sommandosi a tendenze più generali e nazionali. Però è proprio questa “contestualizzazione” che mi pare più evidente del solito, dopo i ballottaggi di ieri: ma lo era stata anche dopo il primo turno. Per dire solo un dato grossolano, ben metà dei capoluoghi di provincia che votavano ieri ha cambiato maggioranza, e in questo cambio sono stati coinvolti tutti nel bene e nel male, anche se in misure diverse: 3 sindaci nuovi al centrosinistra, 4 al centrodestra, 1 al M5S; 5 persi dal centrosinistra, 1 dal centrodestra, 2 dal M5S (la metà di confermati, invece: 5 al centrosinistra, 3 al centrodestra).

Mi pare insomma che le tendenze nazionali abbiano gravato meno del previsto e del solito sulle scelte per il proprio sindaco da parte degli elettori. Si era già detto al primo turno, dove il PD era andato meglio nei comuni che alle europee, malgrado il voto simultaneo. Adesso mi pare confermato e mi sembra interessante (e preoccupante insieme) proprio per il PD. L’impressione è infatti che nelle città gli elettori potenziali del PD abbiano guardato alla qualità dell’amministrazione locale (e a quella delle alternative) facendosi distrarre meno dai sentimenti sul piano nazionale: soprattutto dove questi elettori potenziali sono di più, naturalmente. E questo – azzardo un’interpretazione, confutabile – è “merito” della sostanziale sparizione del PD dalla scena pubblica nazionale, avvenuta dall’elezione di Zingaretti e con il defilamento di Renzi. È come se in un tempo e in un sistema in cui la politica è costantemente sotto critica e risentimento, la strategia della scomparsa sia premiante: nessuno ti vede, nessuno si incazza con te, nessuno vota i tuoi nemici per punirti (che è invece quello che sta succedendo stavolta al M5S). Sono mesi che i media parlano quasi soltanto della maggioranza, e con i media parla quasi soltanto la maggioranza (il PD dai tanti leader e dalle tanti voci non ne ha mai avute così poche: è la prima volta nella storia che “il PD litiga al suo interno” non è un tema, salvo un occasionale rumore di fondo renziano).

E mentre alle Europee la novità “uomo forte” salviniana ha trovato generici e larghi consensi, come era avvenuto a Renzi la volta precedente (a quasi nessuno frega niente il dettaglio di cosa andrai a fare a Strasburgo, è un voto quasi tutto “di tifo”), nel concreto del conosciuto cittadino gli elettori continuano a riconoscere al PD una capacità amministrativa che attenua il successo della Lega (che deve molto riappoggiarsi alla vecchia Forza Italia) e che il M5S ha dimostrato proprio di non avere: e soprattutto quegli elettori sono stati meno insofferenti col PD. La Toscana, che con le sue tradizioni di apprezzata amministrazione di sinistra sembrava avviata verso la resa alla Lega come l’Emilia o l’Umbria, resta l’unica regione che dà più voti al centrosinistra e ieri ha eletto 14 sindaci del PD su 18. Ma anche in Emilia 11 su 16.
Nei comuni sopra i 15mila abitanti di tutta Italia è invece più palese la crescita del “centrodestra”: ma confrontiamola col fatto che quel centrodestra – oggi inesistente in quanto tale a livello nazionale – alle Europee ha preso il 50% dei voti, ovvero il doppio del PD (e i pochi rimasugli di sinistra intorno) che ciò nonostante da domani continuerà a governare la grande maggioranza di questi comuni.

Potremmo parlarne a lungo, anche con valutazioni più approfondite, ma la sintesi della mia ipotesi è che se il PD sta immobile e muto a livello nazionale spunta le armi ai suoi nemici ringhiosi, molti elettori si dimenticano di disprezzarlo e il PD ne beneficia a livello locale (almeno dove ha governato decentemente, o dove ha un elettorato storico). È un tema affascinante della politica e del consenso di questi tempi, ben oltre il PD: se come si dice sempre sono anni di “votare contro”, è importante non guadagnare nemici più ancora che guadagnare amici.
E diciamo, semplificando molto, che per un periodo la leadership invisibile può aiutare quanto la leadership sgomitante. E considerata la catastrofe del 2018, può anche darsi che fare l’opossum faccia recuperare qualche punto anche a livello nazionale, quando le delusioni per gli altri emergono: poi però questa riflessione andrà messa in relazione con ambizioni maggiori e nazionali, per le quali temo serva altro.

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