Come and rock me, Amadeus

Vediamo se le confuse “polemiche” su Amadeus e Sanremo riescono a dirci qualcosa di meno volatile, routinario e fuorviante di quello che sta circolando (siamo già alla terza “polemica” successiva, nel frattempo). L’esercizio di maggiore comprensione delle cose, per capirne le ragioni e intervenire meno superficialmente affinché le cose cambino su una scala di qualche valore, prevede di chiedersi: “perché succede che Amadeus dica quella cosa lì, in quel contesto?”.

Le ragioni sono due, direi. Una riguarda Amadeus, che probabilmente non è – a quanto sappiamo: non lo conosco – più scorretto nei confronti delle donne della media degli italiani maschi o di molti maschi nei suoi ambienti professionali: è probabilmente un maschio italiano a cui viene naturale di associare alle donne un’idea di “passo indietro”, un’idea che siano umilmente e dignitosamente a fianco dei loro uomini, che abbiano un ruolo che è legato – in un modo o nell’altro – alla relazione che hanno con un uomo. Difficile immaginare che pensieri simili siano fatti a proposito di uomini, non solo da Amadeus ma da quasi nessun altro. Ed è difficile da una parte perché quello è uno stato di fatto: la nostra è tuttora una società che incentiva le donne a riempire quel tipo di caselle, e se qualcuno dicesse “molte italiane sono brave casalinghe” non si potrebbe criticarlo per non dire la stessa cosa degli italiani, perché italiani bravi casalinghi ce ne sono decisamente pochi. E l’espressione “dietro ogni grande donna c’è un grande uomo” purtroppo si concepisce poco perché siamo una cultura che fa poco per fare diventare “grandi” le donne, nel senso in cui lo si dice degli uomini; per non dire del fatto che per un uomo molti considererebbero la frase umiliante.
Insomma, non è Amadeus: o meglio non è solo Amadeus. Tutto quanto intorno a lui crea quell’espressione lì, e crea persino che molti la accolgano come normale e condivisibile. Che brava, sa stare un passo indietro. “Punire” Amadeus per questo sarebbe fuorviante e autoassolutorio due volte. Una, perché Amadeus è una rotellina di una macchina culturale che funziona ancora così, e tu vuoi dire alla rotellina “vergogna, sparisci”? Due, perché il problema è proprio la macchina, e non si può eluderlo: è una macchina che per esempio mette un maschio a comandare sempre. Negli ultimi vent’anni – pur in un settore come la tv in cui ci sono donne con successi e ruoli importanti – le edizioni presentate e governate da donne sono state tre. Nei decenni precedenti, una ogni dieci.

Ma se parliamo della macchina e del suo funzionamento allora le questioni non riguardano solo l’uguaglianza tra uomini e donne, e vengo alla seconda risposta alla domanda “perché succede che Amadeus dica quella cosa lì, in quel contesto?”: che è un tema di ignoranza, viltà delle classi dirigenti, rinuncia alla qualità e al servizio pubblico. Quelle cose lì, e in generale le cose tra il troglodita e il sessista che circolano nelle teste di molti italiani sulle donne, sono figlie di ignoranza tout court: chi rifiuta di sentirsi accusare appunto di “sessismo” lo fa perché si sente innocente, si sente di rispettare e apprezzare le donne, si sente in buona fede. Direbbe “ho molte amiche donne”, se non facesse ridere. Si sente di non avere nessuna cattiva intenzione nei confronti delle donne, come il termine sessista suggerisce. Ed è perché spesso più che malintenzionato, è ignorante: qualcosa nella sua testolina di maschio (ma non solo di maschio) viene alimentato da quando è bambino e diventa un pezzo della sua lettura della realtà, che poi candidamente emerge in questi casi, o in casi di maggiore prepotenza o persino violenza. Tutto quanto intorno a lui gli ha insegnato cose sbagliate, per anni, e ancora lo fa (Amadeus stesso con quella frase diventa appunto una rotellina di questo meccanismo diseducativo). Lo fa in mille modi, perché la funzione educativa delle istituzioni pubbliche e delle élite culturali è stata in gran parte abbandonata: non che sia mai stata molto florida, ma almeno condividevamo che ci provasse. Ora ci sembra classista, lavorare per il progresso culturale: o ce lo diciamo per sottrarcene.

E qui il tema è più generale, ed è qui che si dovrebbe intervenire, non sulla rotellina Amadeus: il festival di Sanremo è un progetto mediocre, diseducativo, sterile e irrispettoso del pubblico, che funziona molto bene grazie alla professionalità esecutiva di molte persone che ci lavorano. Ma chi lo guida, chi lo costruisce, chi lo indirizza, fa delle scelte di coltivazione e incentivazione dell’ignoranza, di un’idea retrograda dell’Italia e di un concetto vile del servizio pubblico. L’evento musicale più importante, promosso e comunicato del paese, è un evento musicale in cui la musica è al 90% mediocre o pessima; l’evento televisivo tra i più importanti dell’anno è una cosa in cui i conduttori non riescono a leggere sul gobbo, in cui gli sketch con gli ospiti sono goffi e imbarazzanti, i testi quasi sempre poverissimi, la creatività pubblicitaria affidata alle televendite, il contesto generale adatto agli anni Settanta del Novecento o ai rotocalchi del supermercato, il terrore principale quello di dispiacere a politici o dirigenti. Voi direte: ma l’Italia e gli italiani sono quella cosa lì! E io rispondo: e vogliamo rimanere così? Perché “quella cosa lì” è le donne un passo indietro, quella cosa lì è fare le cose male, quella cosa lì è disprezzare l’arricchimento e il progresso culturale, quella cosa lì è rinunciare a dare modelli diversi da una musica insignificante malgrado le presunte patine di rinnovamento o da una scrittura e dei contenuti di pigra povertà, salvo rarissime e accidentali eccezioni quasi sempre legate a occasionali iniziative personali.
(e saltiamo la parte in cui qualcuno accusa queste considerazioni di snobismo nei confronti dei prodotti culturali popolari: i prodotti culturali popolari si possono fare bene, si possono trasmettere contenuti popolari non sempre al basso, si possono arricchire e incentivare la domanda e l’aspettativa di qualità; fare cose popolari non significa immaginare sempre il popolo bue o volerlo conservare tale).

Il problema non è quindi Amadeus, il problema è Sanremo, il problema è la Rai, il problema è il governo del paese: dove con governo intendo il potere e la capacità di governare la sua crescita culturale, quella che impedirebbe non soltanto di dirle, le cose sul passo indietro, ma persino di pensarle. E lo so, qui ci prende a tutti un grande scoramento e l’idea che le attuali leadership del paese possano usare il loro potere per sostenere estesi e ovvii progetti educativi usando gli strumenti prioritari per questo – la scuola, il servizio pubblico radiotelevisivo, i mezzi di comunicazione in genere – ci pare anacronistica e irrealizzabile, a guardarsi in giro. Ma se ognuno nel suo pezzetto – Amadeus compreso, che va bene le attenuanti, ma fino a un certo punto – evitiamo di renderci complici di questa resa almeno non mostrando di accettare lo stato di fatto, magari qualcosa un giorno cambia: sostenere che il problema sia Amadeus – che si sia trattato di un errore da correggere invece che di un problema strutturale – è una resa, è la legittimazione di tutto il resto (sono il primo a stare attento al benaltrismo). Il problema è che non si devono fare le cose così: e questo nobilita ulteriormente chi le fa meglio, in tutti gli ambiti. Ci sono, dei posti e dei contesti in Italia in cui nessuno comunque direbbe «la capacità di stare vicino a un grande uomo stando un passo indietro»: perché sono posti e contesti in cui le cose si fanno in altri modi.

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