Come mai Avvenire “va bene”

Tutte le volte che – sia nei resoconti sul sito che nelle discussioni pubbliche sull’informazione – il Post mostra i numeri sulla diffusione dei quotidiani in Italia, dopo l’iniziale impressione incredula rispetto alla successione dei tracolli percentuali, l’attenzione di molti si sposta su Avvenire: com’è che in tutto questo, Avvenire aumenta i propri numeri? Ieri c’è stata anche una prolungata conversazione su Twitter a questo proposito, e così provo a dare una risposta alla domanda, sulla base delle cose che conosco e che ho chiesto.

Avvenire è, in gran sintesi, un quotidiano cattolico pubblicato dalla CEI (la conferenza dei vescovi) relativamente giovane, essendo nato nel 1968. Nella sua storia la grossa svolta fu dalla metà degli anni Novanta con la direzione di Dino Boffo che allargò le attenzioni del giornale su un maggior numero di temi di attualità e culturali, e molto sulle questioni e le attività della solidarietà, del volontariato, dei diritti dei più deboli (deboli comunque riconosciuti dentro gli orientamenti della chiesa: da cui restano piuttosto fuori alcuni diritti degli omosessuali, delle donne, sul fine vita, eccetera). Avvenire venne ridisegnato, divenne più moderno e leggibile, e introdusse idee nuove, compreso il non insignificante supplemento dedicato ai bambini, dentro un generale indirizzo verso le famiglie. Dal 2009 il direttore è Marco Tarquinio (l’uscita di Boffo è un pezzo vergognoso di storia recente, ma è un’altra storia) che ha proseguito e aggiornato quel progetto, e ulteriormente rinnovato il design del giornale.

Gli ultimi dati di diffusione dei quotidiani dicono che a fronte di declini dei maggiori quotidiani tra il 30 e il 60% solo negli ultimi sei anni, Avvenire cresce dell’11%. Per spiegare meglio questo risultato bisogna descrivere un po’ meglio sia cosa sia quel numero che cosa sia Avvenire.
Il numero è la “diffusione”: non sono vendite, né lettori, ma la somma delle copie che – semplifico – “circolano” di quel giornale. Comprende diverse voci, ma nel caso di Avvenire le più importanti che sommate portano ai 117mila del totale sono:
22mila vendita
78mila abbonamenti
9mila “abbinate” digitali
6mila omaggi

(“Abbinate digitali” vuol dire che sono abbonamenti che comprendono a pagamento maggiore anche l’edizione digitale: da una parte non sono lettori in più, ma dall’altra sono copie vendute in più).

Una prima cosa da notare è il formidabile numero di abbonamenti all’edizione di carta, un’anomalia per il mercato italiano: nessun quotidiano si avvicina nemmeno alla metà di quel numero. Questo si spiega in parte con una tradizione di abbonamenti al giornale da parte della rete delle istituzioni e dei luoghi ecclesiastici, ma in parte anche con un investimento precoce su quel fronte in generale, che oggi si rivela assai lungimirante, visto che stiamo andando tutti là: la difficoltà per Avvenire sarà convertire l’abitudine a questi abbonamenti in abbonamenti digitali (un incentivo sono le sempre maggiori difficoltà di distribuzione puntuale delle copie di carta).

Comunque, se confrontiamo questi numeri con quelli di sei anni fa vediamo che le due voci maggiori sono rimaste quasi uguali (erano 20mila e 82mila): quello che si è aggiunto sono le copie digitali e gli omaggi che insieme nel 2013 arrivavano a 3mila.
Quindi, possiamo dire che Avvenire viene comprato grossomodo dallo stesso numero di lettori di sei anni fa. Che resta una cosa straordinaria, vista l’aria che tira: banalmente, anche Avvenire ha lettori molto anziani, che evidentemente hanno un ricambio, solo per dirne una. E sicuramente, l’abbandono della lettura dei giornali riguarda in una qualche misura anche Avvenire: che quindi ha raccolto nel frattempo lettori nuovi.

Dove li ha raccolti? Con tutta evidenza e secondo chi ha seguito le vicende del giornale, presso molti ambiti interessati ai temi descritti sopra: le organizzazioni non profit e di volontariato; le carceri; le scuole; i lettori giovani allevati attraverso il supplemento a loro dedicato; i lettori in generale interessati ai temi della solidarietà, o in cerca di posizioni aperte sull’accoglienza e sull’immigrazione che oggi è difficile trovare con continuità su qualunque altro quotidiano, anche progressista (ricordo che dei primi venti quotidiani nazionali italiani, nel 2020 ormai uno solo si dice in qualche modo di sinistra: e appartiene peraltro alla famiglia Agnelli). Ma anche i lettori in cerca di un’appartenenza identitaria che non abbia i toni bellicosi e violenti di altri quotidiani: in questo somigliando un po’ al meccanismo creato con grande bravura e successo anche da Internazionale (e su cui ci prova anche il Post, aggiungo). A testimonianza di questo ci sono i giudizi di apprezzamento per Avvenire che arrivano frequenti anche sui social network e in tempi in cui i giudizi circolanti sui giornali – a torto o a ragione – non sono praticamente mai lusinghieri. Avvenire è quindi un quotidiano che senza fare notizia o generare temi e polemiche di cui poi si parli nei talk show televisivi, nelle dichiarazioni dei politici o su Facebook – e forse anche per quello – raccoglie però silenziosamente una invidiabile quota di nuovi lettori e conserva buona parte dei propri.

Certo, c’è un altro elemento di fatto e unico, che aiuta, a parte il bacino ecclesiastico (che è importante ma non maggioritario come alcuni pensano): Avvenire riceve una cifra molto alta di contributi pubblici ogni anno (solo con quella ci si farebbe il Post per quattro/cinque anni). Come ho scritto, non c’è da essere risentiti sul sostegno pubblico all’informazione: ma sicuramente non si può trascurare che più risorse economiche – a chi le riceve – permettono investimenti che ad altri non sono concessi non solo sulla qualità del prodotto, ma anche sulla sua comunicazione, promozione, distribuzione, innovazione. È anche vero che per contro Avvenire è più debole e trascurato di altri quotidiani sul piano della raccolta pubblicitaria.

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