Possiamo immaginare

La storia del vigile che si è ucciso a Palazzolo sull’Oglio, in provincia di Brescia, è triste comunque: capire se lo abbia fatto in relazione alle conseguenze del suo essere stato aggredito online per un parcheggio disdicevole o no, non aggiunge comunque molto altro al repertorio già consolidato di “gogne online” che trasformano i colpevoli in vittime con punizioni pubbliche sproporzionate e persecutrici. Un tratto di queste reazioni che è diffusissimo tra tutti noi – sia online che per strada o in qualunque altro fastidio o indignazione – è la pretesa immediata di avere inquadrato tutto da pochi elementi, l’incapacità o il rifiuto di immaginare che nella cornice ci sia altro, e figuriamoci fuori dalla cornice. A volte mi figuro l’imbarazzo che proveremmo, che proverei, se ci trovassimo di fronte tutti quelli che abbiamo disprezzato pubblicamente per qualcosa, che ci spiegassero a quattr’occhi quella cosa che non sapevamo, che non sapevo, che non potevo sapere. Quella conseguenza enorme su una vita che è proseguita – oppure no – appena avevamo voltato lo sguardo a indignarci da un’altra parte.
Bisognerebbe sempre essere consapevoli che non sappiamo niente: bisognerebbe essere capaci di ipotizzare che in quel momento lì, quello stronzo, quella stronza, abbia una persona che sta morendo, qualcuno che sta aiutando. “Pure lui avrà dei bambini che gli vogliono bene e che soffrono quando lo sentono insultato”, mi forzo a volte di pensare di certi quotidianamente disprezzabilissimi protagonisti pubblici delle cose italiane.

Il signore che ha accusato il vigile per il parcheggio e ha generato la sua persecuzione starà a sua volta soffrendo, in questo momento, e naturalmente non se lo merita. Non è escluso che qualcuno lo insulti sui social network, spero di no. La cosa che ha detto in un’intervista però è una lezione che almeno lui forse si ricorderà e che metto qui per noialtri in generale.

Se solo avessimo immaginato che questo agente aveva dei problemi, non avremmo scritto quel post […] Mi dispiace ovviamente che questo, insieme ad altro, abbia innescato una reazione di questo agente che a quanto mi dicono, nessuno poteva immaginare.

È difficile prevedere, ma immaginare è facile. Soprattutto che le persone “abbiano dei problemi”: li abbiamo tutti. Non si può immaginare tutto, non si può immaginare quello: ma si può essere consapevoli che ci siano un tutto e un quello che ignoriamo, sempre, fuori dalla cornice: perché non sappiamo niente degli altri e delle loro vite e dei loro problemi (sappiamo in generale pochissimo di quello di cui parliamo). Esserne consapevoli non significa tacere e assolvere comportamenti sbagliati – ammesso che qualcosa non li assolvesse, spesso capita pure quello – ma pensarci sette volte di più, alle reazioni che abbiamo, ai giudizi che diamo. E poi eventualmente decidere di averle lo stesso, alcune di quelle reazioni – ponderando – ma prendendosi la responsabilità di avere almeno immaginato. E dire, dopo, “ho immaginato che gli potesse succedere qualcosa di male ma l’ho ritenuto improbabile, o l’ho ritenuto giusto”. Essere responsabili, di quello che si fa, è questo. Pensare – immaginare – che possano esserci delle possibili conseguenze, anche se non le conosciamo.

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