Nel weekend ho ritrovato questo libro, e ho realizzato che allora, nel 1988, fu la prima diffusa occasione di venire a sapere che alcune delle cose che registravamo come vere solo perché venivano raccontate da qualcuno non erano vere.
L’espressione “leggenda metropolitana” non era nota o familiare, allora: tutti avevamo sentito dire prima o poi di quelli che avevano riportato un “ratto gigante della Malesia” da una vacanza credendolo un cagnolino, o che ci fossero dei ragni nel tronchetto della felicità. Avevamo presente la gag del cane cucinato in Fantozzi, e avremmo letto dell’aereo antincendio nella Versione di Barney, e qualche anno dopo ci sarebbe stata la canzone di Elio e le storie tese, eccetera: ma ho realizzato che prima del libro di Brunvand le cose lette o ascoltate, almeno per noi ragazzi di provincia, erano vere. Fu la prima occasione di incredulità non tanto rispetto alle storie false, appunto, ma soprattutto rispetto al fatto che potessero essere false: il primo stupito seme di diffidenza.
Ora siamo decisamente più diffidenti e qualcosa è cambiato, ma quello stupore è ancora imbattibile ed è il fattore maggiore di circolazione delle notizie false. Siamo naturalmente inclini a pensare che una cosa detta sia vera, piuttosto che a pensarla falsa (perché nella maggior parte dei casi lo è, o lo è abbastanza), e ancora di più se è una cosa scritta. Mi ha detto mio cugino, lo ha detto il telegiornale, eccetera.