Tra gli effetti collaterali delle nostre agitazioni di queste settimane e del vuoto di pensieri e soluzioni che ci paralizza, c’è stato in questi giorni l’emergere del dibattito su quelli che vanno a correre (ce l’avessero detto, tra tutti i “ce l’avessero detto” di questi tempi), così come è stato scelto di dichiarare lecito dalle autorità che hanno dato istruzioni e regolamenti sulla quarantena. Non ho interessi in causa, e non vado a correre – con rammarico e vergogna – da almeno un paio d’anni, ma tra tutte le cose polemiche da una parte o dall’altra su questo tema (il farci ricadere nella polemica e nella zizzania è il risultato più comune di quasi tutte le questioni, col concorso scellerato di parte dei media aizzatrice), ma la lettura più sensata e meglio riassunta l’ho trovata in un messaggio dell’assessora milanese Cristina Tajani, che riproduco sperando aiuti letture più equilibrate delle cose.
possiamo però dirci che non ha molto senso (sanitario e democratico) additare i runners, ma omettere di ricordare che fabbriche, call center e tanti altri luoghi di lavoro dove è difficile osservare le distanze di sicurezza sono tutt’ora aperti. La maggiore concentrazione sociale, oggi, in Lombardia è nei luoghi di lavoro. E l’esercito che arriverà per controllare i runners potrà poco se non si ragionerà sulla produzione. Cosa che non è facile fare perché il modello “Wuhan” prevede che un intero paese a capitalismo di stato produca per una unica regione chiusa con l’esercito…
Ogni sera, quando vedo i dati sul 40 percento di lombardi che si sposta da casa, soffro perché nessuno riesce a dire che la stragrande maggioranza di quegli spostamenti avviene per ragioni di lavoro e che i cosiddetti “furbetti della passeggiata” sono quasi irrilevanti in quei numeri… dopodiché se si spostano senza motivo è giusto sanzionarli. Ma forse stiamo indicando all’opinione pubblica il nemico sbagliato…