Perdonate la premessa, ma è per risparmiarci perdite di tempo e insoddisfazioni, e per confessare la mia inadeguatezza: non ho un’opinione sull’intervento delle laureande della Scuola Normale di Pisa, malgrado ci siano molte ragioni che mi incuriosiscono, né ce l’ho sulle obiezioni nel merito scritte da Claudio Giunta e ospitate sul Post, che hanno ottenuto consensi e critiche, e desideri di dibattito o litigio. Parlo di una cosa che non c’entra, insomma, e su cui quella storia è solo uno spunto.
Lo spunto mi interessa invece perché da molto tempo mi appunto i tanti approcci, principi e regole che ci diamo e che seguiamo nell’esprimere le nostre frequenti opinioni, ma a cui deroghiamo – capovolgendoli, persino – quando capita che mettano in discussione noi stessi, quello che facciamo, e quello che conosciamo. E tra questi c’è l’inclinazione a solidarizzare con le proteste, con le critiche ai sistemi consolidati e logori, con i Davide che provano a mettere in discussione e ad accusare i Golia: inclinazione che mi pare che poi perdiamo tutti sistematicamente quando i Golia siamo noi, anche piccoli Golia (ognuno è Golia di qualche Davide, ognuno è Davide di qualche Golia).
Giunta dice – con inevitabili antipatia e sgradevolezza, almeno io credo che siano in una misura inevitabili – che un conto è parlare e argomentare della propria personale esperienza e conoscenza (cosa che definisce “interessante del loro discorso”), altro è estendere la limitatezza di quelle esperienza e conoscenza ad analisi complessive e perentorie su ambiti che invece superano grandemente quelle esperienza e conoscenza. Ripeto, mi limito al suo argomento in generale, a prescindere dal fatto che sia fondato in quell’occasione: e l’argomento suona così, per fare una similitudine, “se andiamo in un museo e non capiamo niente, la nostra esperienza e opinione sono importanti e utili, ma non bastano a farci anche individuare e giudicare le ragioni per cui il sistema museale non funzioni”.
La sgradevolezza della formulazione arriva quando questo concetto viene tradotto – che l’autore provi ad attenuarlo o no: Giunta ha scelto di non provarci nemmeno – in “piantala ragazzino, che non conosci le cose”, con aggiunta impressione di sufficienza paternalistica.
Ora – e straripeto: non dico sia per forza questo il caso – sarete d’accordo che possa capitare che delle persone, per inesperienza, sappiano meno cose di altre, e che lo stesso esprimano delle opinioni a cui mancano dei pezzi di conoscenza o di elaborazione. Ne abbiamo impressioni quotidiane e continue, e lo facciamo tutti noi, con diversi gradi di consapevolezza, dubbio e perentorietà (che sono quelli che fanno molto la differenza). E sarete anche d’accordo che inevitabilmente, a teorica parità di altre condizioni, il fattore di essere più anziani metta in condizione di avere maggiori esperienze, ovviamente convivendo con molti altri fattori (io sono più anziano delle laureate normaliste, ma sulla Normale ne sanno più loro; Giunta può essere più stupido e loro molto intelligenti; eccetera: ho detto, a teorica parità di altre condizioni).
Quello su cui voglio portarvi, e che appunto riguarda molti altri casi ed esempi, è che ho l’impressione che la spontanea solidarietà e condivisione che abbiamo verso forme di critica e protesta di questo genere si interrompano – stavolta è successo a Giunta – quando queste avvengono negli ambiti in cui abbiamo maggiore conoscenza ed esperienza: professoresse di liceo che ora stanno dalla parte delle laureande della Normale hanno le reazioni di Giunta quando qualcuno critica la scuola dopo essere stato solo studente o genitore di studenti, giornalisti che ora stanno dalla parte delle laureande della Normale hanno le reazioni di Giunta quando qualcuno critica i giornali di cui è solo quotidiano lettore, politici o amministratori pubblici che ora stanno dalla parte delle laureande della Normale hanno le reazioni di Giunta quando qualcuno critica la politica che ricade solo sulla sua vita quotidiana, e così via a comprendere ristoratori, magistrati, cineasti, avvocati, medici, e ogni categoria il cui lavoro e il cui spazio siano oggetto di critiche o di giudizi sul loro preteso malfunzionamento. “Non sapete di cosa parlate, la vostra è una lettura ingenua dall’esterno, le cose sono più complicate, e noi lo sappiamo perché siamo stati come voi e abbiamo detto e pensato le stesse cose prima di capire come erano davvero”.
Forse l’esempio più precoce e diffuso di questo passaggio riguarda una circostanza scolastica persino precedente a quella di cui si parla stavolta, ovvero le occupazioni delle scuole superiori per protestare contro riforme dell’Istruzione o derive del ruolo della scuola: occupazioni a cui tanti partecipano motivati (io già al primo anno!) e che tanti giudicano poi con più o meno indulgente sufficienza a volte già pochi anni dopo la fine del liceo: “eravamo ragazzi, non sapevamo quello di cui parlavamo”.
Attenzione, non sto dicendo che da inesperte e ingenue critiche – quando lo sono, non sempre – non possano comunque nascere meccanismi di cambiamento potenzialmente preziosi. Metti anche che Giunta abbia ragione nel suo giudizio sulle loro analisi, è possibile lo stesso che l’intervento delle laureande sia utile e proficuo, e generi conseguenze apprezzabili. Molta storia del progresso civile è stata fatta di iniziative e partecipazioni ingenue e sprovvedute, grazie al cielo. Sto invece riflettendo sulle nostre reazioni personali e sulle contraddizioni di questo genere che influiscono sulla valutazione della fondatezza o meno degli argomenti. E che mi sembra utile avere presenti, anche sapendo che la nostra capacità di controllo di noi stessi è sempre relativa.