Il senso di marcia

Ve lo dico, è un post lungo, noioso, puntiglioso, su una storia piccola, personale, insignificante come ne capitano a tutti continuamente. Dico sul serio, se arrivate in fondo direte “e chissenefrega”, quindi fermatevi qui, non è un trucco retorico. Lo scrivo, il post, solo per mia memoria, e per infantile condivisione con eventuali altri nerd delle contraddizioni logico-legali del codice della strada tra voi, i quali saranno comunque annoiati pure loro. Fidatevi.
Ho ricevuto una multa dal comune di Vecchiano, che è in provincia di Pisa, per una violazione avvenuta il 26 dicembre – di ritorno dal Natale con i tuoi – a un incrocio dell’Aurelia che conosco molto bene e attraverso – alla guida e non – da cinquant’anni. Nel testo si sostiene che la mia macchina abbia violato l’articolo 146/3 del Codice della strada “superando la linea di arresto all’intersezione semaforizzata e proseguendo la marcia nonostante la lanterna proiettasse luce rossa nel senso di marcia”. Sarei insomma, ho capito dalla formulazione, passato col rosso. Le sanzioni comunicate sono il pagamento di circa 150 euro e la decurtazione di 6 punti dalla patente.

Siccome non passo col rosso mai, e per giunta appunto conosco bene l’incrocio che era indicato, che è piuttosto complesso e rischioso, la contestazione mi è parsa improbabile: non dico impossibile perché mi sono abituato a non essere sicuro di niente e neanche di me stesso, e confesso di avere pure pensato con ansia “sono già così vecchio e stordito da non accorgermi più dei semafori rossi?”. Il verbale faceva riferimento a una documentazione fotografica consultabile online, e quindi sono andato a consultarla.
E diceva che non sono passato col rosso. Bene.

Quello che si capisce che è successo è invece che io ho proseguito dritto col verde all’incrocio ma l’ho fatto percorrendo la corsia destinata alla svolta a sinistra, che ha un suo semaforo dedicato che indicava rosso. Ero insomma nella corsia sbagliata: il perché non lo so ricostruire a memoria, posso immaginare che avessi superato qualche ostacolo o veicolo fermo sulla corsia di destra, per via appunto della mia consuetudine con quel tratto di strada che mi fa dubitare che fossi sbadatamente sulla corsia di sinistra (dove non passo mai perché a sinistra si va verso una spiaggia che non ho mai frequentato, verso la casa di un mio compagno di liceo che non vedo da trentanove anni e non so dove altro) volendo andare dritto, ma va’ a sapere. Il fatto è che qualunque fosse la ragione di quella posizione scorretta, è falso che io abbia “proseguito la marcia nonostante la lanterna proiettasse luce rossa nel senso di marcia”, ovvero la violazione di cui ero accusato e per cui si sosteneva dovessi essere sanzionato; ed è errata l’indicazione che la violazione sia avvenuta in “direzione sinistra per via dei Pini” (la strada a sinistra oltre il sottopassaggio). La “lanterna proiettava luce rossa” per la svolta a sinistra, mentre il mio senso di marcia – mostrato nelle foto – era invece quello in cui la “lanterna proiettava luce verde”. La contraddizione del testo è ancora più evidente confrontando i due passaggi, quello sul mio aver “proseguito la marcia” (dritto) e quello sulla luce rossa “nel senso di marcia” (sinistra): o la marcia della mia macchina è una, o è l’altra, non possono convivere due marce contemporanee in sensi diversi.

(possiamo definirlo un “doppio senso” di marcia)

E insomma, data la gravità e il rischio della sanzione (che prevede che se arrivasse di nuovo una sanzione simile entro due anni mi sospenderebbero la patente), ho seguito le istruzioni per fare ricorso presso il giudice di pace e spiegare l’errore. Ed è iniziata una sequenza sintetizzabile in “la-prossima-volta-ci-pensi-due-volte-a-fare-ricorso-anche-se-hai-ragione”. Prima cosa, nel 2022, serve una raccomandata. Poi arriva una comunicazione che dice che serve anche far pervenire un “contributo unificato” di 43 euro, e poi che devo presentarmi di persona all’ufficio del giudice di pace, a Pisa, per un’udienza. Nel 2022. A fare cosa? A dire di nuovo le cose che ho già argomentato nel ricorso, immagino. Mi ero già pentito, ma ormai mi ci ero imbarcato e temevo complicazioni ancora maggiori a rinunciare: ho parlato con un mio amico avvocato pisano che poteva essere delegato (io vivo a Milano), ma mi sono sentito di sfruttare troppo l’amicizia e ho infine considerato di approfittare per una visita familiare (mancavo da Natale del 2021, dal 26 dicembre), e insomma sono andato io.

L’ufficio del giudice di pace di Pisa, ho scoperto, si trova nei locali in cui – allora erano un bar – festeggiai il mio 24mo compleanno. Ho aspettato una mezz’ora rispetto all’orario previsto – ma temevo peggio – e nel frattempo ho conosciuto la mia controparte, una gentile e amichevole avvocata delegata dal comune di Vecchiano che mi ha fatto capire di essere lì un giorno sì e uno no con pratiche simili. La cosa è stata confermata dalla complice conversazione tra lei e l’altrettanto cortese e paziente giudice di pace, con la quale si sono scambiate delle battute sulla ripetitiva ritualità di tutto questo, oggi con me nel ruolo accessorio. La giudice mi ha consegnato quindi una risposta del comune di Vecchiano depositata una settimana prima, in modo che la leggessi – essendo evidentemente impensabile che io potessi leggerla a casa mia a Milano – e si è detta mortificata per tutte queste procedure che ignorano che siamo nel 2022 e per avermi fatto venire di persona, ma il suo ufficio non ha strumenti telematici per fare niente, salvo mandare delle mail (nel mio caso neanche quelle, evidentemente).

La risposta del comune di Vecchiano sono quattro pagine di citazioni virgolettate di una sentenza e di un’ordinanza della Cassazione: tutto mi ha fatto capire che siano usate sistematicamente dalla mia controparte in contestazioni di questo genere, probabilmente è stato inserito il mio nome in un documento standard (che quindi a sua volta mi contesta per due volte il “proseguimento della marcia nonostante la luce rossa semaforica […] direzione sinistra per via dei Pini”). Solo che le citate sentenza e ordinanza dicono – come è giusto – che non si deve usare la corsia sbagliata, che non ha rilevanza “l’intenzione” del conducente, e che non si può avallare che qualcuno “svolti” trovandosi sulla corsia per proseguire dritto (quindi un caso opposto al mio). Niente di tutto questo ha a che fare con la formulazione infondata che mi attribuisce di avere proseguito nel senso di marcia in cui il semaforo era rosso, laddove io non cito “intenzioni” ma fatti dimostrati dalle foto. Ripeto, io so bene di essere stato in errore, e in errore contestabile, solo che non è l’errore che mi è stato contestato: e la sua gravità non è assimilabile a essere passato col rosso, cosa che a quell’incrocio sarebbe stata particolarmente scellerata.

La giudice comunque ha sbrigativamente dichiarato l’accettazione delle ragioni del comune, come se fossimo lì solo per comunicarmelo, salvo consentirmi gentilmente di esporre le mie ragioni dopo che avevo chiesto se fosse possibile: le mie ragioni sono state quindi ascoltate, sono state opposte loro da entrambe le mie garbate interlocutrici le stesse argomentazioni incongrue e fuori contesto di cui sopra, e dopo alcuni miei tentativi di rendere più chiare e comprensibili le incongruenze l’udienza si è chiusa con dei sorrisi sempre gentilissimi e condiscendenti che dicevano “è-come-diciamo-noi-lasci-perdere”. Io ho detto “ok, ma guardate che ho ragione io”, come i bambini, e ci siamo lasciati tra convenevoli e cortesie, culminate nella controparte che mentre uscivamo dal locale della mia festa di compleanno mi ha con qualche imbarazzo suggerito che “se vuole, può fare appello”. È seguita un’occhiata complice, e ci siamo lasciati. Ora devo stare attentissimo per due anni.
Benedette le disgrazie piccole, diceva mia nonna.

update: “la giurisprudenza si divide” sul merito (non sulla errata formulazione del comune di Vecchiano), mi segnala un gentile lettore, e io ho incontrato la giudice di pace sbagliata.

altro update: una persona su Facebook mi ha fatto notare un’altra implicazione paradossale affascinante della tesi esposta dalla sentenza di Cassazione citata – tesi per cui il semaforo regolerebbe il passaggio o meno sulla corsia relativa, piuttosto che “l’intenzione” della direzione successiva -, ovvero che seguendo questa impostazione in teoria io avrei potuto percorrere la corsia di destra e proseguire legittimamente col verde, e poi girare a sinistra.

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