Innocenti evasioni

Se si parla di carcere la stragrande maggioranza delle persone è inevitabilmente molto ignorante: non solo per propria responsabilità, ma soprattutto di un sistema generale in cui viviamo – un sistema di pensiero e di pratiche – che usa il carcere pensando di rimuovere dei problemi, e rimuove quindi il carcere stesso dal discorso pubblico e da un’informazione corretta e completa. Poi c’è che la verità – che il carcere è di per sé un problema, che aumenta la criminalità, che non risolve niente – abbiamo anche poca voglia di ascoltarla, e insomma tutto questo fa sì che quando le persone si sentono di dover dire qualcosa sul carcere (perché in quel momento se ne sta parlando, perché è successo qualcosa) lo fanno senza saperne niente, come quando ci sono i mondiali di calcio e improvvisamente i più sprovveduti o disinteressati si trovano davanti alla tv ed esclamano frasi fatte o commenti goffi, sentendosi tenuti.

Chi volesse sapere un po’ meglio come funziona e cosa implica il carcere, ha molti strumenti (compreso l’ultimo Cose): quel che manca di solito è la volontà di informarsi, non la bibliografia. Per comprensibile desiderio di rimozione, come abbiamo detto. Quindi qui mi limito a un piccolo tentativo di svuotare l’oceano di questa ignoranza con un secchiello, approfittando di cose lette in questi due giorni intorno all’evasione di un gruppo di ragazzi da un carcere minorile milanese.
E mi limito all’argomento della pretesa “pericolosità” degli evasi, ovvero della pretesa “pericolosità” di chiunque stia in carcere: argomento che viene evocato spesso: per esempio quando qualcuno viene scarcerato perché in attesa di giudizio come prescrive la legge, o quando si è discusso di indulti e amnistie (“eh, ma così tornano a delinquere!”).

Il fatto è che l’ingenua distinzione tra la pericolosità di chi sia in carcere e la non pericolosità di chi ne sia fuori è, appunto, ingenua e illogica. In carcere stanno per esempio tantissime persone sotto indagine o in attesa di processo, condizione identica a quella di molte persone fuori dal carcere; in carcere stanno tantissime persone che non hanno maggiori probabilità di compiere di nuovo un reato di quanta ne abbiano molti di noi (ma questa probabilità per alcuni aumenta proprio stando in carcere); in carcere stanno tantissime persone che ne usciranno appunto nella medesima condizione in cui ci sono entrate, e quindi la loro pericolosità è identica oggi a quella di quando saranno correttamente scarcerate. Prendete i ragazzi evasi, tutti in attesa di processo (e quindi per la legge innocenti, fino a eventuale condanna): non conosciamo i reati contestati, ma con buona probabilità se porteranno a una pena detentiva – dopo un processo e un’eventuale condanna – possiamo immaginare che sia a qualche anno di carcere. Diciamo anche che siano, che so, cinque anni. Ecco, quei ragazzi tra cinque anni saranno pericolosi esattamente quanto lo sono oggi, se non di più (“il carcere è criminogeno” dicono in molti, e lo ha detto anche la direttrice del carcere bolognese in una recente presentazione di Cose). Quindi qualunque allarme e preoccupazione sugli “evasi” di oggi dovrebbe esserci anche tra cinque anni. O se venissero assolti.

Altrettanto ridicoli sono quindi gli allarmi sui rischi per chi sia scarcerato da un indulto o da un’amnistia, o da uno sconto di pena (ovvero persone con pene non elevate): si possono avere altre obiezioni, ma che si rischi che  “tornino a delinquere” è un argomento che avrebbe senso solo se si immaginasse di non scarcerarle mai più, quelle persone. Se rischiano di tornare a delinquere oggi, rischieranno di tornare a delinquere anche quando verranno regolarmente liberate.

Tutto questo rende assurdo – ma non così assurdo, se si conoscono i tic del sensazionalismo giornalistico e della propaganda politica – tutto l’armamentario cinematografico e retorico di questi giorni e di altre occasioni simili: la “fuga” (a casa della mamma), la “cattura”, la “caccia all’uomo”. Non esiste niente, nelle nostre società “progredite”, che sia così poco progredito e così rimasto a livelli di civiltà medievali e ignoranti come il carcere e il dibattito sul carcere. E non consola che per una volta non sia un problema solo italiano: vuol dire che siamo un caso disperato, noi fuori dal carcere.

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