La banalità del fascismo

Proviamo a fare ordine e ad affrontare il problema proficuamente. Perché i problemi sono due, anche se ben connessi. Uno è che c’è in giro una limitata ma pericolosa quantità di fessi violenti che trova legittimazione alla propria fesseria nobilitandola con proclami di ispirazione nazionalista e fascista: i manifesti sui muri di Roma ne sono l’espressione più visibile, con la loro enfasi linguistica ridicola tipica dei complessi di inadeguatezza che spingono a usare paroloni per darsi un tono. Non tutti i fessi sono violenti e pericolosi, ma se frequenti quei tipi di predicazioni è più facile che poi ti venga di menare le mani, rispetto a frequentare non solo dei club di giardinaggio ma anche delle riunioni dei Giovani Democratici.

Il secondo problema è che c’è in giro una più estesa quantità di un po’ meno fessi e meno violenti ma bisognosi di affermazioni di sé e insofferenti di mitologiche figure così come le ha disegnate una propaganda strumentale – i “comunisti”, “la sinistra”, “la cultura woke”, “i radical chic” – e che verso queste figure concentra i propri risentimenti, alimentati da astuti cercatori di consenso nella politica e nei giornali. Nella narrazione che viene efficacemente rifilata a queste persone ci sono alcuni argomenti sciocchi ma efficaci, appartenenti al repertorio degli inganni dialettici più consolidati. Uno è il solito “e allora XXXX?”. Uno invece è una variante di “argomento fantoccio” che irride l’ipotesi del “ritorno del fascismo” attribuendo ai promotori di questa ipotesi l’idea che il fascismo in questione si replichi con i costumi, i linguaggi e le ricostruzioni di un secolo fa: tipo i centurioni che si fanno fare le foto al Colosseo. Fa ridere, no? E infatti ridono: “hahaha, macché fascismo, i tempi sono cambiati”. E un sacco di gente lo trova divertente, e si fa indottrinare da questa versione che permette di mettere in ridicolo qualcuno e sentirsi più intelligenti: “hahaha, macché fascismo! Che cretini siete, il fascismo non può tornare“.

Ora, uno potrebbe essere indotto a spiegare loro che non hanno capito, o che hanno torto: e che quando si parla di fascismo non si parla di un definito e circoscritto periodo storico che fu un misto di spregevolezza e ridicolo (molta spregevolezza, purtroppo), e un imbarazzo per questo paese e chi gli vuole bene. E che il fascismo è invece un modo egoista e retrogrado di concepire i rapporti col prossimo e con i diritti altrui, e un modo arrogante e violento di applicare le proprie idee (a mazzate o vagoni piombati, sostanzialmente), che è capace di adattarsi a ogni epoca, evolvendosi: si possono avere comportamenti fascisti anche sui social network senza mettersi divise da balilla (e hanno comportamenti fascisti anche delle persone che credono di essere di sinistra). Ma questi argomenti che smontano la derisione verso il “ritorno del fascismo”, quelli razionali e ragionevoli, si sono dimostrati sterili: le persone non hanno voglia di sentirsi dire che hanno torto, e a volte già lo sanno, e si compiacciono di sbuffare.
Alle persone piace sbuffare.
E intanto diversi di quelli di noi che gridano “fascisti!” hanno invece speciali abilità di indebolire la loro capacità di convincimento (e a volte hanno anche simmetriche intenzioni retoriche strumentali). Le accuse di fascismo, insomma, non servono a niente, se non a battersi il petto come gli oranghi, e a marcare il territorio. Attività legittime, ma piuttosto inefficaci – lo mostrano i fatti – nel limitare i comportamenti fascisti. Possiamo fare a botte, ma lì di solito vincono i fascisti: per maggiore competenza rispetto a noialtri sinceri democratici.

La mia proposta è quindi di smettere di chiamarli fascisti, i coglioni violenti (chiedo scusa del turpiloquio, ma è la definizione tecnica più aderente al significato che intendo, e ne ho cercate altre invano). È una proposta per ragioni di efficacia, non per minimizzare. Rimuoviamo da questo dibattito il “ritorno del fascismo”, o lasciamolo agli storici o agli psicoterapeuti: noi persone normali preoccupiamoci di più della coglioneria violenta. Il fascismo è nato su un marciapiede, come ha detto la dirigente scolastica Savino. Il pericolo fascista è una cosa di violenza da bruti frustrati in cerca di affermazione, alimentata e incentivata strumentalmente da politici e mezzi di informazione che pensano di approfittarne per costruirci il consenso necessario ad avere maggior potere. Alimentandolo oppure rimanendo a guardare, e fregandosi le mani.
Tra l’altro, come le espressioni del ministro Valditara dimostrano, senza nemmeno dare soddisfazione a chi vuole disegnare i soggetti di queste indulgenze come astuti ideologi di un pensiero di destra, a oggi inesistente in questa maggioranza politica: la mediocrità e la povertà umana sono i tratti che prevalgono, e che devono preoccuparci quanto e forse più della violenza. Ci sono stati due comportamenti deprimenti e preoccupanti, per gli italiani, nella storia dei giorni scorsi: il pestaggio degli studenti e l’ignoranza stupida di un ministro dell’Istruzione. In molteplici e significative relazioni l’uno con l’altra.

A qualcuno fa ridere che li si chiami “fascismo”? E ne approfitta per accettare e promuovere violenza, stupidità e ignoranza? Va bene, chiamiamoli violenza, stupidità e ignoranza, e vediamo se qualcuno a destra vuole celebrare e difendere anche quelle (niente è escluso, eh).

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