Prendila così

Tra un paio di settimane saranno ottant’anni dalla nascita di Lucio Battisti e, con l’esagerato anticipo rituale per battere la concorrenza, Repubblica ha pubblicato un bell’articolo di Francesco Piccolo di proprie memorie e riflessioni personali su Battisti, come le abbiamo in tantissimi, e che leggiamo da decenni: ma Piccolo è bravo a scriverne e a generare quell’effetto “lo hai detto meglio di come lo avrei detto io” con un bel racconto. E poi ci aggiunge un paio di considerazioni, di cui una interessante ma secondo me fragile, e un’omissione rilevante, se si può dire “aggiungere un’omissione”. Le metto qui come carne al fuoco di pensieri ulteriori, implicando senza trattenermici oltre che l’articolo sia molto bello e coinvolgente (secondo me Piccolo sbaglia il testo di Ancora tu, ma può essere un batusso mio o suo).

La considerazione interessante è quella con cui Piccolo associa la sua precoce e ammirevole capacità di emanciparsi dalle rigidità ideologiche (che poi sarebbe stata fino a oggi un tratto eccezionale di molte sue riflessioni preziose) al caso delle canzoni di Battisti di cui “mi dicevano che non si doveva ascoltarlo”. L’allusione è alla vecchia tesi che Battisti fosse “fascista”, così tante volte dibattuta e smontata e rimontata da essere diventata più insignificante che mai: e anzi, ha creato un repertorio specifico di opinionismo stagionale, a ogni ricorrenza (ne leggerete ancora nelle prossime settimane, vedrete), l’intervento-in-difesa-di-Battisti-contro-le-accuse-di-fascismo, ormai noioso quanto le accuse stesse. Ma soprattutto, si tratta di un dibattito che ormai si è completamente allontanato dalla realtà e se ne è costruita una propria e improbabile, una in cui una sorta di tetra e repressiva censura circondava le canzoni di Battisti a sinistra. Che, considerato che negli anni in questione il PCI prendeva il 34% alle elezioni e i movimenti di sinistra extraparlamentare erano piuttosto vivaci, avrebbe dovuto creare estese limitazioni alla circolazione delle canzoni di Battisti e al loro apprezzamento (c’era l’egemonia-culturale-della-sinistra, no?). Invece Ancora tu – per restare su quell’esempio – batté ogni record di permanenza al primo posto della hit parade, e le canzoni di Battisti erano ovunque. Le accuse di fascismo (con riferimenti filologici robusti, bisogna dirlo, nei testi di Mogol) c’erano, ma non erano – per dire – niente di paragonabile alla cancel culture contemporanea, che ci ha abituato a repressioni molto più concrete. Battisti spopolava tra tutti, e se posso contrapporre ai ricordi personali di Piccolo i miei (ognuno ha i suoi, ripeto), ovvero di un suo coetaneo in una famiglia giovane e comunista – benché di comunismo assai più libertario e aperto di altri -, i miei genitori avevano in casa i 45 giri di Battisti (mi ricordo bene quello della Canzone del sole) e io mi innamorai in autonomia del Battisti dello stesso periodo di Piccolo (La batteria, il contrabbasso, eccetera, Io tu noi tutti e Una donna per amico) in totale e appassionata libertà, non solo da qualunque giudizio critico familiare, ma anche della estesissima famiglia che era allora la comunità di persone di sinistra che frequentavamo. Fu molto più malvisto Baglioni dai puristi del rock che avrei conosciuto negli anni successivi.

Questa cosa della ricostruzione a posteriori di realtà più semplificate e letterarie, più suggestive e schematiche della loro reale complessità, capita spesso: e questo è un breve inciso, ma ci tengo. Le generazioni che non c’erano prendono per esatte delle narrazioni sintetiche da libro di storia e si immaginano realtà sbrigative e teatrali. Qualche anno fa dei giovani fan dei programmi televisivi di Carlo Lucarelli furono increduli del fatto che malgrado la mia giovinezza toscana e i miei studi fiorentini io fossi del tutto ignorante della storia dei delitti del “mostro di Scandicci” cosiddetto, e che non potessi riferire loro il clima di terrore relativo che non potevo non aver vissuto.

Con questo non voglio negare che ci siano stati eccessi di fanatismo ideologico anche su Battisti, da parte di qualcuno a Caserta o altrove, ma solo attenuare l’universalità di esperienze personali (compresa quella delle mie). L’Italia era un paese in cui si ascoltava felici Battisti da tutte le parti, e lui stravendeva dischi, più di tutti.

Vengo invece all’omissione, nella celebrazione da parte di Piccolo dei testi di Battisti che ci sono attaccati addosso come il Bostik. E in questo caso il dato è invece oggettivo: i testi di Mogol cantati da Battisti sono stati molto a lungo misogini e maschilisti in maniere la cui sgradevolezza è accettabile solo in considerazione della bellezza di quelle canzoni. E anzi, che ce ne siamo fatti una ragione senza commentarlo mai abbastanza dimostra sia quanto abbia prevalso la bellezza delle canzoni e sia quanto fossimo (e siamo) eventualmente antifascisti ma pochissimo femministi. Sui “boschi di braccia tese” ci sono state discussioni e irritazioni, sui versi che cito qui sotto no.
E su questo, per non ripetermi, incollo una cosa che scrissi per una raccolta di celebrazioni di Mogol del premio Tenco, due anni fa: non so neanche se sia poi stata usata.

Le premesse su quanto siano diventate un pezzo delle vite di tanti di noi le parole che Mogol ha messo nelle canzoni di Lucio Battisti sono superflue. Diciamo che ce lo siamo detto. Ma il palese sessismo di alcuni di quei testi è una consapevolezza che non riesco mai ad accantonare nel mio amore per Battisti. Le donne delle canzoni di Battisti sono state a lungo donne che si tengono accanto come cane da compagnia, come geishe del maestro o come soddisfazione di bisogni maschili diversi (dal preparare il caffè in poi): e questa cosa ha cominciato a cambiare tardi, con i dischi della seconda metà degli anni Settanta, ancora bellissimi e con un’idea diversa della complicità con le donne. Prima invece, persino Emozioni è una canzone basata sulla frustrazione di non poter condividere un pantheon di bellezze della vita – “qualcosa che nella mente tua non c’è” – con te che “capire tu non puoi”. Simmetricamente in Amore mio di provincia lui invece si fa una ragione dell’ignoranza di lei: “Bella, forte e sana, spaventata solo dagli aeroporti e dai pensieri un poco aperti”. E ancora, Una: “Tu non sei molto bella e neanche intelligente ma non t’importa niente perché tu non lo sai”.

La canzone della terra è la lista di esigenze dell’uomo che rientra a casa e “prima cosa voglio trovare il piatto pronto da mangiare e il bicchiere dove bere, seconda cosa voglio parlare di tutte le cose che ho da dire e qualcuno deve ascoltare, donna mia devi ascoltare, terza cosa quando ho finito presto a letto voglio andare” e sentirti “puledra impetuosa” (che anche le goffaggini imbarazzanti non sono poche in un repertorio esteso come quello di Mogol). Ma è un canto brasileiro è lo sfogo di un uomo la cui donna ha una carriera ammirata e ben pagata come modella pubblicitaria e lui invece la vorrebbe a casa in attività domestiche. E poi Un uomo che ti ama nel 1976 è la celebrazione dell’equivalenza tra il desiderio maschile e il possesso incontrollabile: “donna tu sei mia e quando dico mia dico che non vai più via”. E gli esempi sono ancora molti, compresi tanti risentimenti per le libertà di scelta sessuale delle diverse donne citate.

Non sono idee umilianti e offensive per le donne, che hanno altro a cui pensare: sono idee un po’ umilianti per gli uomini, e che concorrono a un giudizio su chi le abbia e le abbia comunicate fieramente.
Negli anni Mogol – che magari nel frattempo ha imparato altro, come tutti noi maschi – ha deriso sprezzantemente le perplessità su quest’idea delle donne, e magari è vero come dice lui, che a tutt’altro pensava e tutt’altro intendeva. Le canzoni, però, dicono sempre gli autori, sono quello che diventano nelle orecchie di chi le ascolta: e i messaggi sono quelli che arrivano, comunque siano partiti. In molte sue canzoni (che continuiamo ad ascoltare felici e ammirati senza dare il destro ai vittimismi e ai “non si può più dire niente”) i messaggi sono questi, un po’ imbarazzanti.

Adesso son tranquillo, come un’anatra sul lago.

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